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botti da orbi: highland park party by ziowhisky

Un emozionato Armin fa gli onori di casa di fronte a loschi individui

Chi ha dai trenta ai quarant’anni ormai sa bene per esperienza come sono le festine per il primo compleanno. Parenti, torte, giocattoli, fotografie e cose così: insomma, non esattamente quel genere di party a cui non vorresti mai mancare, soprattutto se il bimbo che compie un anno non è il tuo…
Per fortuna, però, a volte a compiere un anno non è un bambino, bensì un negozio di whisky. E in tal caso venire invitati è molto più divertente, soprattutto perché si berrà qualcosa di meglio del moscato e dell’aranciata. Tutta questa premessa per dire che ci è toccata in sorte la fortuna di venire invitati da Armin Kousminscki per la degustazione celebrativa del primo anno di vita della sua creatura, ovvero il progetto Zio Whisky. Era l’estate del 2023 quando lo store veniva ufficialmente inaugurato, un periodo non dei più semplici per il mercato del single malt, soprattutto in Italia. Ma Armin da Bolzano ha osato e ci ha creduto e oggi, un anno dopo, ha voluto festeggiare il primo compleanno offrendo ai suoi migliori clienti – e immeritatamente a questi debosciati blogger – una degustazione epica. Ragion per cui ci siamo trovati come star a bere dei vecchi Highland Park non al Roxy Bar, bensì al 2CL club di viale Certosa: atmosfera rilassata, salottino di amici, fior fior di bottiglie e l’ars narratoria di Claudio Riva di Whisky Club Italia. Se cercate sul dizionario la definizione di “stare da Dio”, trovate esattamente questa definizione.

Quindi, tanti auguri allo Zio Armin, che con il suo entusiasmo e la sua precisione maniacale sui dettagli dei vecchi imbottigliamenti è ormai una realtà stimata nel mercato del whisky in Italia, e via di recensioni per questo Highland Park party di compleanno.

Highland Park 1989 Sherry wood (1989/2000, Wilson & Morgan, 46%)
C: oro. N: il carnevale di Ivrea in bottiglia, nel senso che l’arancia esplode fin da subito. Ma non da sola: c’è tutta una teoria di frutta sudata ed esotica, che va dal mango alla maracuja. Il tutto si intreccia con due altre suggestioni principali: una nota di erbe secche, erica, fieno, i mazzetti di fiori secchi; e una nota di biscotto maltoso. Qui e là compaiono tocchi di fiammifero sulfureo e acqua di mare. Il fumo è un’idea gentile. P: oleoso e pieno, si apre con cioccolato, pepe e tanto cuoio. A cui seguono liquirizia salata e mandorle anch’esse salate. Ecco, il sale prende pian piano sempre più la ribalta. Arance e caldarroste, con un’astringenza presente ma non eccessiva. Colpisce il nervo, la vivacità acida che ricorda l’albicocca secca e soprattutto i caffè artigianali. F: medio lungo, con fumo crescente, cioccolato e una valanga di sale.
Entusiasmante perché imprevisto. Nonostante sia giovane e a grado ridotto, ha una potenza espressiva notevole. Un profilo per nulla comune, in cui la parte salata ben si sposa con quella fruttata e quella dello sherry. Più complesso di quel che si possa credere: 88/100.

Highland Park 12 yo (tra 1980 e 1981, OB, 43%)
Un 12 anni del core range dei primi anni Ottanta, con la “screen printed label”. C: cremisi. N: senza arrivare a quanto suggerito da una partecipante alla serata (“puzza di marcio”), il primo naso è senz’altro dirty. Profondamente sulfureo, con una nota dominante di uovo e frutta in decomposizione. Pian piano, queste potenti note off mutano e si stemperano in arancia e toffee. Claudio sottolinea soprattutto il toffee e una dimensione fresca che gli suggeriscono un invecchiamento in bourbon. A noi fa impazzire l’emergere di un senso di acqua salmastra e alghe, che diventano torba e pietra focaia. P: avvolgente e morbido, eppure subito pieno e totalizzante. Cioccolato e soprattutto gianduia, e anche caramello. L’evoluzione del palato non è uniforme, a metà sembra svuotarsi un attimo, e il “secondo tempo” cambia registro: tostato, con tabacco, spezie e un’impennata di salamoia di olive, mista ad agrumi. F: lungo, torbatino, con ancora salamoia, arancia e un che di spezie e accendino.
Fa sorridere se confrontato con il 12 anni attuale: lo spazzerebbe via come un fuscello. Molto più potente, sporco, virile, dimostra ben più dei 12 anni che ha. Più complesso che intenso, ma comunque possente. 87/100.

Highland Park 1955 (1955/1989, Gordon & MacPhail’s, 54.6%)
Un over 30 dalla serie Original Cask Strength. C: rame. N: siamo nei territori della grandezza, che molto spesso profumano di biblioteca, sacrestie e cantine. Insomma, di legno, anni e misteri. Si apre con un profumo di mobili lucidati e olio essenziale di arance, a cui si aggiungono subito parecchio propoli e una teoria totale di frutta, dalla papaya al mango. Le note di sacrestia sfumano nel borotalco (qualcuno suggerisce: i chierichetti…) e in una freschezza minerale. Grasso per lucidare il metallo, crema all’uovo. Molto “spesso”, olio di argan, cioccolato e un che di fragola. Incantevole. P: se possibile, è ancora più straordinario rispetto al naso, perché sorprende quanto è ancora potente e maestoso dal punto di vista della frutta. Di nuovo papaya, con pesca, arancia e ora con uno zenzero condito da urlo. In crescita la spezia, con pepe nero e semi di cardamomo, che si mescolano a note di fave di cacao, anacardi e caldarrosta. La frutta secca diventa protagonista, il legno è presente in maniera discreta. Liquirizia e quasi grasso di prosciutto Patanegra. Non una cosa proprio da nulla… F: medio lungo, fa salivare e non ha praticamente tannini: pietra focaia, mentolo e un memorabile succo di mango salato.
Emozionante e ancora rispettoso del dna della distilleria nonostante i parecchi anni di invecchiamento. Non sono tanti i single malt che dopo tanto tempo ancora sfoggiano una potenza di fuoco come questo, a cui si aggiunge la vivacità acida. Un 92/100 deciso e 6 voti che lo incoronano miglior dram della serata.

Highland Park 20 yo (1978/1998, The Vintage Malt Whisky Co., 52.5%)
Della bottiglia si sa poco, ma l’etichetta è deliziosa. C: oro. N: molto diverso rispetto a tutti gli altri, le prime note al naso sono infatti pesce e miele d’erica. Che insieme non sono esattamente un perfect serve, ma se vi diciamo che negli occhi di tutti si è accesa una luce al primo impatto, credeteci. Delicato e fresco, con molti fiori bianchi (i mandorli in fiore!), limone, polline… Ma senza dimenticare l’anima marittima, con acqua salata e ostriche e un fumo che qui si fa più evidente e che ricorda più la carbonella della torba. P: dolce e sensuale, si capisce fin da subito che a “guidare” è il distillato. Nel senso che l’invecchiamento, come si può capire anche dal colore, è avvenuto in barili già usati, che hanno consentito una maturazione lenta e una evoluzione con poco influsso del legno. Limone candito, cedrata salata, di nuovo miele d’erica e sale. La parte minerale è frizzante, il barile regala solo un accenno di legno. Liquirizia ripiena al limone. Perfettamente coerente con il naso, con ostriche, miele e fuliggine. Carambola anche. Il retronasale è ancor più fumoso. F: ditto: fumoso, miele, limone. Con due nuove suggestioni: lo yogurt agli agrumi e la polpa di cacao fresca delle cabosse.
Piace perché autentico, perché quel che ci ha fatto innamorare della distilleria delle Orcadi è la complessità del suo distillato, e dunque quando lo si può apprezzare nella sua evoluzione più pura siamo tutti felici. Un 90/100 (e 5 voti come best whisky della serata, secondo classificato).

Highland Park 29 yo (1989/2018, Gordon & MacPhail’s, 57%)
Bottiglia della serie Connoisseur’s Choice. Il refill sherry butt #1087 ha dato 613 bottiglie. C: mogano. N: molto scuro, non solo cromaticamente. Il primo naso è comandato da cacao, caffè e chinotto, ed è il più pungente della serata. “Colpa” della gradazione, ma non solo. Lo sherry è ovviamente ben percepibile, sottoforma anche di aceto di lamponi. Uvetta, un filo di violetta e cacao di quelli acidini. Al naso, il barile è senz’altro molto più protagonista del distillato. P: molto pieno e con tutte, ma proprio tutte, le suggestioni dello sherry: panettone, caramello, cacao, liquirizia, tabacco… L’alcol in bocca è molto meno percepibile. Pastoso e masticabile, la torba è solo accennata, così come il sale. In compenso c’è un nonsisaché di floreale che spunta qui e là. Cioccolato al latte ovunque. F: lungo e floreale, ancora cioccolato, sherry e pepe.
Un monumentale sherrone, con qualche difettuccio all’olfatto ma nel complesso di grande prestanza fisica. Il fatto è che potrebbe essere qualsiasi single malt, perché il barile è coprente e le caratteristiche della distilleria non emergono. Il che – come dicevamo prima – è un peccato. Ci fermiamo a un 88/100.

Oltre a questi 5, siccome non erano abbastanza e Armin è un signore d’altri tempi che ci tiene ai suoi ospiti, ne sono stati versati altri due extra.

Highland Park 18 yo (2005, OB, 43%)
Vecchia versione del 18 anni ufficiale, di cui abbiamo già assaggiato la versione successiva e quella attuale, coi ghirigori vichinghi. C: ambrato rossastro. N: la gloria della frutta sia con noi nei secoli dei secoli. Pesca, arance, prugna, fragola e perfino papaya disidratata: amen. C’è questa dimensione roboante di macedonia e frutta polposa, con note di esteri quasi da rum giamaicano. L’arancia rossa, dolce e succosa, si staglia su tutto il resto. Poi si apre un profumo di humidor, scatola da sigari di legno, con note di tabacco, vaniglia e lavanda. P: si parte dalla stessa frutta, ma si salgono due gradini nella scala della mineralità. Al caramello e all’arancia rossa spettacolare si somma un tocco di fuliggine e di sale. E alla papaya si somma il cioccolato. Morbido e coccoloso. F: si fa più elegante e lungo, rimanendo sulle note del cioccolato salato, della frutta e del tabacco.
Una piacevolezza rara e un equilibrio per nulla facile da trovare in un profilo così ricco in termini di barile e di complessità del distillato. Siamo a un passo dalla gloria: 89/100.

An Orkney 6 yo (2016/2023, Cadenhead’s warehouse tasting, 60.1%)
Un imbottigliamento dalla warehouse di Cadenhead’s, bourbon barrel a grado pienissimo. C: oro. N: mmm, il primo impatto lascia un po’ basiti, perché è quasi completamente centrato su note inerti, di pavimento di cantina, stoppie, fieno e lana bagnata. Che per carità, sono tutte molto autenticamente HP, ma non sono voluttuose. Con il tempo emerge della vaniglia, un po’ di cioccolato bianco, del limone dolce e una discreta dose di malto. Minimale, sobrio, incredibilmente privo di sfuriate alcoliche nonostante la gradazione. P: il palato è sorprendente! L’alcol di nuovo è totalmente assente, ma quel che è presente è ancor meglio: torta al limone salata, gelato alla vaniglia, una certa cremosità a cui non eravamo abituati stasera. Gli Highland Park in bourbon sono animali strani, come le civette delle nevi: se possibile, sono ancor più affascinanti della versione normale. F: medio-lungo, ancora crema di limone salatina.
Tutto qui, direte voi? Eh, inscì veghen, diciamo noi a Milano. Nella sua semplicità, è un piccolo capolavoro. A soli 6 anni, l’alcol è perfettamente integrato e il profilo ha già cominciato a sviluppare quelle note tipiche dei malti isolani, dalla mineralità alla salinità, Per noi un convinto 88/100.

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