Eccoci qui di nuovo a bazzicare le sacre sponde, che non sono quelle foscoliane di Zacinto, ma quelle laphroagghiane di Islay. Ve lo abbiamo già detto in ogni modo, ma ricordarlo non nuoce: Williamson è il nome che gli imbottigliatori indipendenti hanno scelto per identificare i Laphroaig non ufficiali, sui quali il nome della distilleria non può comparire per contratto. Dunque, meglio usare il cognome della storica distillery manager Bessie, cosa che abbiamo fatto anche noi, adeguandoci al mainstream come le pecore scozzesi, Shaun the sheep che non siamo altro.
Ad ogni modo, oggi beviamo un imbottigliamento di un amico, ovvero il fervente interista Andrea Morisco fresco fresco di derby perso. Si tratta della seconda release della serie ‘Stillness’, che gioca sui molteplici significati della parola inglese “still”, alambicco ma anche scatto che immortala un istante fotografico. E infatti sull’etichetta campeggia una fotografia del retro della distilleria. E poi dite che noi siamo dei nerd intellettuali…
Insomma, bando alle ciance: versiamoci questo Laphroaig 12 anni invecchiato in botti ex bourbon e poi affinato in un refill sherry butt. Il colore è un paglierino intenso.
N: sarà quest’aria di Oktoberfest, ma ci ricorda immediatamente i wurstel affumicati con una bella mano di senape. Intenso e molto succulento fin da subito, oltre questo primo impatto si spalancano le cateratte dell’acqua di mare: tanta, salata, salmastra. Salamoia, Dirty Martini. La frutta non è esattamente l’invitata d’onore in questo naso, ci fermiamo a un cedro e a qualcosa di cetriolo che balenano nel fumo. C’è poi una dimensione più dolce che parte dalla vaniglia e arriva a una crema chantilly alla salamoia. Erbe aromatiche, menta piperita e fiori bianchi chiudono un naso molto vivo, in cui l’alcol è perfettamente integrato.
P: continuiamo a nuotare nelle acque salate di Islay. Subito botte di mare, e subito ancora pietanze affumicate e salate (il carpaccio di pesce spada affumicato, se proprio volete sapere cosa abbiamo in mente). Il che significa che si fa più ittico e meno porco rispetto al naso. Arachidi salate, anche. Poi arriva un tocco di cenere che si prolunga indefinitamente, arricchendosi con pizzichi di erbe aromatiche amarognole e bucce di agrumi. Ancora molto equilibrato, saporito e e bello pieno. Grumi di marmellata di frutti rossi carbonizzati, di quelli che spuntano dalla crostata e rimangono inceneriti nel forno.
F: lunghissimo, oleoso, pesce affumicato e mojito alla cenere, il nuovo cocktail da non perdere. Forse un accenno lontano di dolcezza sherrosa, di arancia caramellata bruciacchiata.
Non il più complesso dei Williamson, ma uno dei più piacevoli e soddisfacenti che ci siano in giro. Che bella presenza e che bella purezza di sentori. Estremamente marittimo, con un alcol davvero ben integrato. Nella sua aderenza al dna della distilleria, non sentiamo moltissimo il finish in sherry, ma non ce ne lamentiamo: la purezza ci esalta. 88/100.
Sottofondo musicale consigliato: Eli Derby – Good Time