Nei piani di chi scrive, questo sarebbe dovuto essere un resoconto godurioso di un weekend lungo passato a girovagare fra le distillerie dello Speyside. Gli ingredienti c’erano tutti: il clima settembrino incoraggiante, un grazioso bungalow nel Cairngorm National Park, una trentina di samples vuoti da riempire, mascherine con fantasia tartan per farsi compatire dalla popolazione locale… Insomma, tutto il necessario per un grande safari degli alambicchi. Tutto, a parte gli alambicchi.

ad Aviemore
Già, perché a Nord del Vallo di Adriano il Covid lo hanno preso molto sul serio. Londra è un po’ lasca? Allora Edimburgo diventa rigida. Regole, molta informazione, controlli. Il che si traduce – per tutti, ma qui si parla della comunità dei turisti del whisky – in non pochi problemi. Primo fra tutti: tante distillerie sono chiuse al pubblico (Glenfarclas, Balvenie, Benromach…). Poche, le più ottimiste, avevano aperto giusto il whisky shop per qualche degustazione, ovviamente limitatissima e altrettanto ovviamente prenotata fino alle calende greche, ragion per cui il turista abbacchiato ha pensato bene di virare su un bel trekking panoramico sul Benrinnes, con opinabili risultati come si può notare dalla foto sotto…

Tra le distillerie che offrivano qualche tasting, Glenfiddich, Aberlour e – non esattamente nello Speyside ma neanche così lontane – Dalwhinnie e Blair Athol. Sicché, sulla lunga strada del ritorno verso l’Inghilterra, il cronista ha optato per un pit-stop nella prima delle due, che se ne sta pacifica e beata a poche centinaia di metri dalla A9 che porta a Pitlochry.
Prima di dar conto degli assaggi, però, un’ultima considerazione. Nel frattempo la “rule of six” emanata dal governo britannico, che vieta ogni assembramento superiore a sei persone sia all’interno che all’esterno, ha ulteriormente segato le gambe all’accoglienza delle distillerie. Le quali hanno cancellato anche i pochi tasting per i visitatori. Il fenomeno è globale, si sa, ma dal punto di vista dello Scotch, che negli ultimi anni ha visto esplodere il turismo delle distillerie (2 milioni di visitatori nel 2018), uno stop prolungato potrebbe essere drammatico. Se gli appassionati non possono andare alle distillerie, chissà che le distillerie non si inventino un modo per raggiungere gli appassionati…

Fine della pippa sociologico-economica, si parli dunque di whisky. Nella fattispecie dei 4 in degustazione: il 15 anni parte dei Diageo Classic Malts, il Winter’s gold, il Distillers Edition e il Lizzie’s dram, imbottigliamento disponibile solo in distilleria. Tutti in pairing con varie praline di Iain Burnett, Highland Chocolatier. Detto fra noi, prima finisce questa moda di accoppiare i whisky ai cioccolatini (che inevitabilmente piallano ogni sapore e fanno sembrare ogni distillato amaro come il fiele), meglio è.

Dalwhinnie 15 yo (2019, OB, 43%)
Una vecchia versione è già stata recensita qui, ma nel frattempo di spirito ne è passato nei colli di cigno di rame, quindi vale la pena di vedere come è invecchiato questo invecchiamento (ehm…). Il naso è frizzante e fraterno, sembra quell’amico simpatico con cui ti sei sempre trovato bene, è il Garrone del Libro Cuore del whisky. Mele croccanti, sorbetto al limone, pesca bianca. Messa così sembrerebbe inacidito come una zia, invece è fresco, con una splendida nota di fieno ed erica. E un filo di fumo, profumato.
In bocca è di nuovo di buon cuore, generoso nella sua dolcezza maltosa: la mela si fa matura, c’è della gelatina di albicocche. Pian piano si asciuga, spuntano erbe secche e pompelmo, un pizzichino di legno che si prolunga nel finale. Qui diventa mieloso, caramella Ambrosoli speziata. E un tocco di fumo di candela, delicato.
Compagno di giochi dei sogni, ha una bonomia unica che comunica piacevolezza. La parte più sporchina, rispetto alla versione anni ’90, sembra essere meno spiccata e arriva dopo un bel batti e ribatti tra frutta e malto. Un inno alla facilità della felicità, senza troppe menate. 85/100.

Dalwhinnie Winter’s gold (2015, OB, 43%)
Fieri del fatto che nella vallata d’inverno faccia un freddo spietato, al marketing si sono sbizzarriti puntando sulla stagione più inospitale. Per esorcizzarla, hanno partorito un NAS che effettivamente davanti al camino può funzionare. Al naso è molto rotondo, con bolle di frutta e carezze di dolcezze. Mela rossa glassata, frutta secca (mandorle), melone, succo di arancia zuccherato. Poi vaniglia, torta Paradiso e poutpourri. Un filo di incenso a intrigrare un olfatto piacione.
Al palato rimane nella parte diabetica dello spettro sensoriale: sciroppi di frutta, macedonia in scatola. Ha qualcosa di artificiale e processato, forse un quid di cartone, ma non è sgradevole. Dietro a questa cortina di zuccheri, però, c’è una torbetta bruciata interessante, che nel finale – insieme a del legno fresco – si fa più distinguibile: chi ha scenerato la Camel sulla nostra frutta sciroppata?
Bel giocattolo, di quelli a norma CEE che sono assolutamente sicuri per grandi e piccini. Non quei giocattoli un po’ loffi, però, che quando la zia te lo regala ti viene un principio di depressione. Tutto sommato più pieno del previsto, con un tocco extra di complessità. Zia, se ce lo regali promettiamo di fare i bravi. 81/100.

Dalwhinnie Distillers Edition (2004/2019, OB, 43%)
Qui occorre scindersi, come un atomo. Tenere da parte il gusto soggettivo che non fa la ola di fronte ai malti dolcini e limitarsi alla gelida analisi, impassibili come coroner. Il Distillers Edition è il 15 anni affinato in botti di Oloroso, dunque ci si aspetta ricchezza, tipo quando si entra da Bulgari. In effetti il naso è opulento e fragrante, e accanto alle mele rosse consuete emerge tutto un portafoglio di sensazioni sherrose, dalla marmellata di pesche al toffee. Il tutto però saldamente in equilibrio, senza svaccare nella stucchevolezza. C’è un filo di polvere a dare una dimensione più scura. Tè English Breakfast, interessante.
Al palato è suadente, sa come piacere e come ritrarsi. Da un lato si mostra coerente col naso, ricco, torta di caramello e noci pecan. Dall’altro non rinuncia a un’aromaticità quasi floreale, anche albicocca fresca a tratti. La terza faccia della medaglia (è una medaglia in 3D,e allora?) è invece un bel malto impreziosito da spezie leggere e un’aria di caffè. Spezie che si prolungano nel finale, asciugandolo: alla dolcezza piacevole si affianca lo zenzero e un’astringenza da tè infuso.
Recuperiamo il camice del coroner: al netto del fatto che questi D.E. sono sempre un po’ carichi e dolci, e dunque divisivi, qui la sensazione è di una quadratura quasi perfetta del cerchio. Un malto ben costruito e cesellato, che sa fermarsi prima di sdilinquirsi in note da dessert con un finale più asciutto e discreto. 85/100.

Dalwhinnie Lizzie’s dram (2018, OB, 48%)
Imbottigliamento limitato – 7.500 bottiglie – dedicato ai trent’anni di carriera di Elizabeth Stewart (in pensione dal 2018) e disponibile solo al distillery shop. Ci si attende un sontuoso e vetusto malto celebrativo. Invece ecco qui un NAS pallido fin dal colore, che sprizza gioventù da tutti i pori. Sicuri che non sia l’imbottigliamento dedicato allo stagista? Senz’altro è il whisky più nudo dei quattro: pera, mela verde, melone bianco, ananas acerbo. Pasta del pane e qualcosa di erbaceo, fra il lime e la mentuccia. Un filo di fumo? Senz’altro un’idea di sapone.
Anche in bocca rimane giovane, con limonata zuccherata e liquirizia dolce sugli scudi. Butta fuori un po’ di alcol (è l’unico a 48%) e qualcosa di sporco, come metallo sporco di fuliggine. Non avete mai mordicchiato una marmitta? Comunque acerbo, come il legno verde e pepato con cui si chiude un finale quasi torbatino.
Non una bevuta drammatica, eh. Però un whisky immaturo e acerbo, come scrivono le maestre sulle pagelle. Non squilibrato e con una sfumatura anche curiosa, ma semplice, senza note maltate e con una frutta basica e zuccherina un po’ così. 79/100.
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