Tornano a grande richiesta (di chi? Ma di nessuno, ovvio, però si dice sempre così) le recensioni di bottiglie totalmente random che ci è capitato di assaggiare. Queste tutte aperte da Mauro Risso a margine della degustazione all’Enoteca Parlapà di Torino di cui vi abbiamo già parlato ampiamente.
A Secret Orkney 23 yo (1999/2022, The Whisky Agency for Three Rivers Tokyo, 52.1%)
Hogshead in co-bottling fra Whisky Agency e l’imbottigliatore giapponese Three Rivers. C: oro pieno. N: pimpante nella sua frutta maestosa, ha le note di certi frutti “bruschi”, tipo albicocche o nespole, ma anche qualcosa di dolcemente citrico. Melone, perfino mango. Nell’opulenza di note macedoni (nel senso di macedonia, non dello Stato con capitale Skopje) si fa strada il legno, aromatico e insieme elegante: uva bianca passa e tendaggi, un mix da gentiluomini senza dubbio. C’è poi una dimensione di crema al mascarpone sul pandoro che ci fa impazzire, con una nota di burro e di ossidazione. Quel che colpisce è comunque la vitalità, è proprio un naso scattante e teso. Un accenno di mineralità (le lavagne delle elementari, con la polvere di gesso) è l’unica concessione al terroir: diciamo che se è Highland Park, non è fra i più sporchi e torbati della storia. P: come non detto, al primo sorso si capisce che HP è qui e lotta insieme a noi. Un palato dal peso specifico notevole, in termini di oleosità e “ampiezza”. Il malto, con la sua dolcezza, viene elevato al quadrato dalla torba terrosa e poi al cubo da una oleosità totale, che avviluppa la bocca. Noci di macadamia, cenere, bucce di pompelmo affumicate. E poi ancora ecco la parte piccantina e speziata, fatta di zenzero, curry verde e pepe bianco. Più passano i minuti e più si asciuga e si fa severo… F: …verso un finale secco, di legno e fumo (Palo santo), agrumi e un sale che cresce. Lungo assai.
Bellissima botte, un HP comme il faut, in cui la dimensione più sporca del distillato si fa sentire ma non si prende mai troppo la scena. Elegante, equilibrato, serio, con una persistenza raddoppiata dal sale marino in levare. Un gran bel dram, di quelli che ti vien voglia di berne subito un altro. Che è poi la vera stella polare per dare un voto: 90/100.
Glentauchers 63.96 ‘Incense in an orchard’ (2002/2022, Scotch Malt Whisky Society, 53.5%)
Un Glentauchers di 19 anni della Society, invecchiato in un first fill bourbon barrel. 140 bottiglie. C: paglierino. N: non esplosivo, ma gradevole. Subito biscotti secchi e frutta estiva, diremmo pesche e albicocche, se le prugne gialle non si offendessero e poi pure le mele gialle se la prendono e ci mettono il broncio. Quindi diciamo semplicemente: frutta gialla. C’è una parte un po’ polverosa e chiusa, diciamo di armadietto dove la mamma tiene le merendine, i biscotti e quella roba lì. Oppure per i meno fantasiosi il pavimento del dunnage, ma dei biscotti. Insomma i biscotti ci sono. Come le spighe d’orzo e l’ananas candito. Pian piano, complice l’ossigenazione, emerge anche un discreto bouquet floreale di fiori di campo. P: qui invece molto più espressivo fin dal principio, con ancora la stessa intensità fruttata (forse maggiore, a dire il vero), e una presenza decisiva delle spezie del legno, dalla vaniglia alla liquirizia. Ma andiamo con ordine. Si apre fra il tannico e il dolce, miele di acacia e susine gialle, poi arriva il cioccolato al latte con delle belle speziette e un che di pesca. E infine il secondo palato è tutto delle spezie, con un legno spaccato di fresco che si fa parecchio sentire, quasi fumè: legno della sauna. F: lunghetto, spezie piccanti del legno, anice e mango essiccato. Fil di fumo.
Non che sia un cattivo whisky, tutt’altro. Però non emoziona granché. Spieghiamo: la parte fruttata c’è, ma non è indimenticabile; l’equilibrio c’è, ma al palato sterza un po’ troppo sul legno; il finale è lunghetto ma forse un filo troppo piccantino. E quindi? E quindi 86/100, il voto della Democrazia Cristiana whiskofila.
Clynelish 13 yo (2009/2023, Gordon & MacPhail, 56.7%)
Il refill sherry hogshead #307222 è stato selezionato per la serie Connoisseur’s choice per celebrare il 60esimo anno di attività nel mondo del whisky di Han van Wees. 248 bottiglie. C: ambrato. N: gli agrumi e le sporcizie – quelle belle – sono un mix che quando funziona ci fa volare. Qui il naso si apre pungente, con una spada di alcol e solvente che subito si fa più acido, sui toni del kumquat e del pompelmo rosa. Neppure il tempo di capire se è buccia, olio essenziale o frutto intero che subentra quel tocco speciale delle Highlands del nord, a metà strada fra la lana bagnata e i lucchetti di metallo lubrificati. E poi ancora lucido per mobili, con la parte più di rancio dello sherry. Qualcosa di amarena, ribes bianco e uva spina. Dolcezza e acidità, come in tutti i matrimoni dopo un po’ di anni… Con più di una goccia d’acqua si fa più cioccolatoso (al latte, e anche al caramello) P: beh, il matrimonio qui è un po’ meno tenero. Il primo sorso è ostico, acido come una suocera: subito astringente e ficcante, nel senso che ti si ficca nelle ghiandole salivari e non è che sia proprio un piacere per il palato. Il legno e lo sherry sono totalizzanti, un tappeto di spezie, frutta secca e alcol si stende sulla lingua. Difficile distinguere i dettagli, ci sono nocciole tostate, cannella, cumino. Il secondo palato è un alternarsi di legno e caramello, con sullo sfondo le prugne acide giapponesi (umeboshi) e la mela granny smith. L’acqua stempera l’acidità, rimane un filo di amaro legnoso ma in complesso migliora, si fa meno contundente. F: piccante, legnoso, asciutto come dopo gli Asciugoni Regina. Resta sullo sfondo questo senso di sale e frutta acida (carambola, ancora mela verde).
Non il più rappresentativo dei Clynelish, non il più beverino e neanche il più emozionante. Il barile è molto invasivo, per noi manca un po’ di equilibrio e l’effetto napalm la mattina presto è dietro l’angolo. Nuota molto bene, nel senso che con qualche goccia d’acqua certe asprezze si mitigano. Però non ci viene voglia di riberlo, quindi 84/100.