Se c’è un gigante nel mondo del whisky italiano, costui parla con marcato accento torinese, talvolta nomina le divinità accostandole ad animali da cortile e nutre una sconfinata passione per il single malt. Egli risponde al nome eroico di Mauro Risso ed è sovrano, principe, cavaliere e papa del regno sabaudo dell’Enoteca Parlapà. Come talvolta accade ai monarchi assoluti, Mauro è assai generoso e ci tiene ad organizzare banchetti liquidi per i suoi amici, tra i quali siamo orgogliosi di poterci iscrivere. Sicché, per i vent’anni di regno del Parlapà, il nostro gigante preferito ha organizzato una “monster selection”. Potevamo mancare? No, diteci: potevamo mancare? Non potevamo, certo, e abbiamo mandato l’unico che per gigantismo può competere con Mauro, ovvero il nostro Corrado, che ha accettato di buongrado e ha detto “vado”. La piantiamo con le rime, ringraziamo Mauro e sotto con le rece.
Littlemill 28 yo (1990/2019, Cadenhead’s, 50.7%)
Bourbon hogshead da 282 bottiglie. C: oro carico. N: regale, con cera di candelabro, solventi per i mobili e una quantità di essenze floreali da postribolo. Il legno è aromatico, cedro e mandorla in quantità, ma accompagnata da pepe bianco. Dicevamo dei fiori, dalle zagare ai gigli, che si fondono con la frutta gialla: prugna ma anche pompelmo extra maturo, quasi troppo. Una parte lattica “ingrossa” un naso già di per sé “tanto”. Banana, carambola e toffee. Banana bread ad essere precisi. Con acqua un po’ aumenta il tocco di solvente, ma anche il lime. P: intenso, caldo e maltoso, con un’oleosità epica. Ci sono biscotti tostati, biscotti Plasmon, biscotti alla frutta secca, biscotti pucciati nel caffelatte la mattina. Poi dietro questa dolcezza, invero discreta, si squadernano le spezie, il legno, l’astringenza, la severità del tempo. L’alcol non è innocente, si sente. Così come si sente una parte verde, di mango acerbo, o forse sono foglie di lemongrass. Una lieve diluizione aumenta la setosità (succo di mango e latte) e attenua il pizzicore del legno e dell’alcol. F: cresce la frutta esotica, banana verde e carambola, ananas con la sua piccantezza. Si asciuga molto, ginger ale e bucce di frutta. Lungo e ceroso.
Un punticino in meno per quel graffio eccessivo dell’alcol (e forse del barile) al palato, ma rimane un whisky eccellente, in grado di cambiare nel tempo e di far godere: 87/100.
Clynelish 24 yo (1996/2020, Sansibar, 54.6%)
Anche qui un bourbon hogshead da 282 bottiglie per la serie dei Clan scozzesi. C: oro zecchino. N: inizialmente timido, dopo si parte con le danze, e ci si diverte fin da subito. Polline ovunque, margherite e miele, combinate con la classica cera. Cannella spolverata su una torta di mele, ma anche pavimento di warehouse, e quel tocco di lana bagnata, di maglioni lasciati in un armadio. Sorbetto al cedro, sali marini di quelli che si usano nelle vasche da bagno, bergamotto. Delicatezze e dove trovarle. P: molto più teso e virile del previsto, ha una texture setosa straordinaria che si combina a una certa possenza di sorso, con pepe e zenzero e mandorletta amara. La dolcezza (torta della nonna, quella crema e pinoli, ma anche arance caramellate) è intessuta di ricordi di legno, più severi, e di rimandi aromatici al mare: tela cerata, ciottoli e sale. F: non lunghissimo, un filo esile ma invita di nuovo alla beva. Sale e mandarino incerato. Un accenno di accendino.
Peccato per il finale, che tradisce un po’ l’imperiosità del palato, ma non fa abbassare il voto sotto gli 88/100. Troppo fiabesco il naso, troppo buono il sorso, che davvero è la parte migliore.