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VENTI DI MAURO RISSO: PIOVE WHISKY SU TORINO (SECONDO TEMPO)

Continuiamo e finiamo la carrellata di whisky che Mauro Risso dell’Enoteca Parlapà di Torino ha mitragliato questa estate in un clamoroso pomeriggio alcolico. Pezzi pesanti, pezzi da novanta e passa. Insomma, pezzi da Risso.

Macalllan Sherry wood 1964 (1964/1981, OB, 43%)
Sherry cask. C: mogano. N: cabine di legno di un vecchio batiscafo umido. Bella eh? Va beh, siamo seri. C’è tantissimo legno, madido di umidità: foglie di tabacco, sigari, cuoio bagnato, nocino… Tutti sentori scuri e spessi, anche piuttosto sporchi e sulfurei. Ingranaggi e arance ammuffite. C’è anche del cioccolato, con delle more, ma la parte fruttata non è protagonista. Qualcosa di mangime per pesci, ma attenzione: col tempo si “pulisce”, subentra un’eccezionale sentore di pompelmo rosa, di karkadé e cola. Serve molto tempo. P: un corpo incredibile a 43 gradi: oleoso, spesso, profondo, clamorosamente maschio, se si può ancora dire. C’è l’astringenza della buccia di chinotto e del sigaro spento, la legnosità del gheriglio di noce, il guizzo del tamarindo. La dolcezza è limitata al minimo, marmellata di arance abbrustolita, croccante alle noci. Per il resto siamo nei territori dell’amaro, ma senza arrivare alle genzianelle ovviamente. La vinosità è ancora vivace. F: molto lungo, oleoso, ancora con noce e arancia scura.
La scissione di Whisky Facile come quella di Rifondazione e dei Comunisti italiani. No, dai, non ce la sentiamo di avvicinarci a Bertinotti e Cossutta. Comunque, Corrado è in visibilio, ne sta prenotando casse sul dark web. Zuc invece è meno entusiasta, continua a sottolineare come l’olfatto sia un po’ troppo sporco. Intendiamoci, non è che gli darebbe 70/100, però si fermerebbe alle porte del 90, mentre Corrado volerebbe a 92. Fra Rifondazione e Comunisti italiani vince il nostro innato mastellismo e diamo un 91/100.

Balvenie Tun 1509 batch 3 (1993/2016, OB, 52.2%)
Una delle edizioni speciali di Balvenie, da 8.850 bottiglie. C: mogano più chiaro. N: incenso, sherry e cera, la sacra trinità della bellezza. Scherzi a parte, le botti ex sherry sono inequivocabili, con quel portato di noci, castagne e vino ossidato. A cui si somma appunto la parte di cera d’api, ben amalgamata a una spremuta di arancia rossa, succo di melograno e fiori di ibisco. Uno sherry più aromatico e meno cupo del Macallan, ma altrettanto intenso. Note più “alte”, meringa al limone con caramello fuso. Bello e ci vivremmo. P: ricco, maltoso, con crostata alle marmellate stracotta, croccante (mandorla e miele) e la stessa sensazione di tensione e brillantezza del naso. Qui forse c’è più miele di acacia, il classico miele di Balvenie, corredato da zenzero candito e scorzette di limone caramellate. Cioccolato al latte anche. Un che di verbena e liquirizia, per un mouthfeel avvolgente ma anche piacevolmente pungente. F: lungo ma non infinito, grassoccio, pesca e miele fino alla fine, come Thelma e Louise. E mandarino. Il bicchiere vuoto è un succo di pesca totale.
C’è più grazia rispetto al Macallan, un legno meno invadente e un distillato meno possente. Detto questo, meno male che esistono le differenze! Gran bel dram, elegante e fine, molto ben bilanciato e beverino. Se dobbiamo dire una e una sola cosa che ci abbassa il voto: il malto di Balvenie si coglie solo in quel guizzo di miele al palato, vince il barile. Non scenderemo comunque sotto il 90/100, sia chiaro.

Linkwood 34 yo ‘Connoisseur’s choice’ (1984/2018, Gordon & MacPhail, 58.1%)
First fill sherry butt da 481 bottiglie. C: rame. N: l’ossidazione e il metallo, se uniti allo sherry, sono divini. C’è un rancio spettacolare appena si avvicina il naso, qualcosa di cognac davvero: la prugna secca, la solita arancia dimenticata per troppo tempo lì. Cuoio, salsa teriyaki, perfino una puntina di asfalto. Estratto di carne, ketchup, comunque umami. Continua a cambiare, ora prendendo la via delle geleé alla mora, ora quella delle caramelline di liquirizia alla violetta. Sentiamo perfino il borsch, la zuppa russa di pomodoro con cumino a volontà. Incredibilmente espressivo, che in qualche lingua si traduce con “tamarindo”. P: woah! Non ce lo aspettavamo così aggressivo. Dal punto di vista alcolico, che 58 gradi dopo oltre trent’anni in botte sono rari. Ma anche dal punto di vista sensoriale. Si apre con una vinosità acida bella potente, amplificata dalle note di asfalto ancora e di frutta sudata (albicocche, arance e nespole). Le spezie sono totali, liquirizia, semi di finocchio, cardamomo… E il legno si mescola con il cuoio, evolvendo verso il mallo di noce macerato. Il rancio c’è ancora, ma meno elegante rispetto al naso. Ecco, se dobbiamo dirla tutta la morsa astringente del primo sorso non è per tutti. Poi si ammorbidisce, ma quella morsa di tannini intrisi e vinosità è tanta roba. F: molto lungo, carnoso e agrumato, ma soprattutto libidinoso. Uno sherry ancora diverso rispetto ai due precedenti. Erbe alpine.
Forse il più difficile fra i tre sherroni aperti da Mauro, senz’altro il più acuminato, con spigoli e imprecisioni che sono anche il suo bello. Il finale è straordinario, come la facilità con cui cambia profilo ogni pochi minuti. Emozionante, magari meno perfetto ma per noi è 91/100.

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