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Ardbeg ‘Spectacular’ (2024, ob, 46%)

Ci abbiamo provato gusto e quindi da Islay non ce ne andiamo più. Anzi, ad essere precisi non vorremmo andarcene mai più dalla distilleria di Ardbeg, dove il nostro inviato tutto barba, taccuino e calvizie ha maramaldeggiato nei giorni scorsi, come vi abbiamo già accennato nella recensione dell’Ardbeg ‘The Abyss‘. Ecco, oltre a quel whiskino da ricchi, abbiamo assaggiato anche la nuova release annuale per l’Ardbeg Day 2024, ovvero “Spectacular”. Che per la prima volta da quando esiste il Committee, non avrà due gradazioni differenti: solo 46%.

Va beh, ma al netto della gradazione e del clamoroso carnevale ardbegghiano che come ogni giugno ci fa divertire come bambini epaticamente cresciuti e che quest’anno era a tema circo, qual è la caratteristica principale di questo “Spectacular”? Come spesso accaduto, il dr. Bill Lumsden – che ha potere di vita, morte e imbottigliamento su tutta la produzione Ardbeg e Glenmorangie – alterna una sperimentazione per così dire primaria (per esempio l’Ardbeg Heavy Vapours senza l’uso del purifier) ad una secondaria, ovvero che implica botti particolari. Nella fattispecie, siore e siori, ecco il primo Ardbeg di sempre ad invecchiare in barili ex Porto. “Sorprendente”, lo ha descritto Jackie Thomson, la donna-uragano che è anche l’anima della distilleria. “Alla base di ogni nuova release, c’è sempre una domanda: ‘what if…?’. Cosa succederebbe se azzardassimo questa o quell’altra soluzione? Insomma, non ci annoiamo mai”.

Il nostro Zuc, che visto così sembra il sollevatore di pesi coi baffi a manubrio del circo Barnum, in realtà quando vuole ancora si ricorda come si fa il giornalista e quindi ha indagato e scoperto… Beh, ha scoperto l’acqua calda: ovvero che i barili sono di secondo passaggio e – anche se nessuno lo dichiarerà mai ufficialmente – sono quelli in precedenza utilizzati per il Glenmorangie Quinta Ruban. Dategli un Pulitzer, subito. Il colore è un oro con tenui riflessi rosati. E già questo ci dice qualcosa…

N: ohibò, quel che manca è più sorprendente di quel che si sente. Ci si aspetta la bordata classica di frutta rossa e marmellate, e invece no. C’è piuttosto un mix di pancetta e cuoio, di erbe aromatiche salmastre e caramello. Balsamico anche, con coccole di ginepro, miele di erica. Ha qualcosa dello sloe gin, nel senso che la parte erbacea ben si sposa con – ora eccola arrivata – la frutta rossa. Sono lamponi, fragoline e ribes, ma non sono succosi né in confettura, sono come canditi e zuccherosi, in versione caramella: le Ricola alla mora! Col tempo si fa più fresco, aria di mare, un delicato e delizioso profumo di fiori, incenso e patchouli che si fa strada tra lo zucchero brulé e i marshmallows bruciati. Patchouli, patchouli, non stiamo sognando. Il bicchiere vuoto invece si fa molto più vinoso. Uvetta anche.

P: un rasoio nascosto in una brioche sarebbe meno affilato e meno sorprendente. Davvero, il primo sorso sa spiazzare: innanzitutto è tesissimo, acidino, con un legno che dà sull’astringente. Un po’ giovane, ma potente, rispettosissimo dell’anima della distilleria (il che non è per nulla scontato) e ben integrato. Intendiamoci, la parte zuccherina c’è eh: amarena, ancora marshmallows alla fragola passati sul falò, come nei film americani dove poi arriva un serial killer e fa a pezzi i campeggiatori e rimangono i marshmallows a crepitare sul fuoco in un silenzio di morte… Stiamo divagando. Ma divaga anche il whisky, in cui l’alcol non si avverte, mentre si avverte un crescendo di pizzicori: pepe bianco, cioccolato di quelli acidi, nervosismi di gioventù. E il sale! Bello questo sale che spunta nelle dolcezze, come granelli di Maldon in un pacchetto di Fruit Joy. Col tempo si apprezza una certa oleosità, anche se gli aculei asprigni non mollano la presa. Creosoto, erbe e soprattutto aghi di pino bruciati. Cioccolatini After Eight alla menta, ma con un qualcosa di vinoso.

F: la parte meno riuscita, forse. Amarognolo, mandorle, vino: non corto, ma forse poco complesso.

Una delle più convincenti limited releases degli ultimi Ardbeg Day. Paradossalmente, è un whisky fin troppo bilanciato per le montagne russe sensoriali a cui ci avevano abituato i precedenti imbottigliamenti: uno tostatissimo, uno estremamente grasso, uno extra-carbonizzato, uno che sapeva di rum… Insomma, è come se all’interno di una compilation death metal comparisse un pezzo melodico. L’apporto delle botti refill porto dà più note di cuoio che non di frutta rossa e in generale vince il profilo erbaceo, balsamico e torbato della distilleria. Difetti? Ce ne sono, certo: innanzitutto una certa leggerezza al palato, poi un finale con un guizzo forse troppo amarognolo, e infine l’età, che è bassa al contrario del prezzo… Ma la sostanza è che è un whisky ben fatto, molto bevibile soprattutto. 85/100, anche se qualcuno che si aspettava le mazzate di frutta e dolcezza probabilmente non concorderà.

Sottofondo musicale consigliato: MGMT – Time to pretend, dall’album “Oracular spectacular”

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