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WATERFALL OF WATERFORD: UNA CASCATA DI IRISH

Tra i vari fenomeni geologici non ancora sufficientemente indagati dalla scienza c’è il cosiddetto “sedimento campionario”, che consiste nell’accumulo di strati e strati di campioni di whisky provenienti da varie degustazioni, che nel corso degli eoni finiscono in un angolo della credenza in attesa di recensirli tutti insieme. Poi ovviamente arrivano altri samples, e altri ancora, e altre degustazioni, e altri amici, e così via finché quei famosi campioni scivolano nell’oblio.
E’ quel che è successo ai parecchi campioni di Waterford che negli ultimi anni abbiamo raccolto. Era il 2020 quando in quel del Mulligan’s Pub bevemmo per la prima volta qualcosa proveniente dalla rivoluzionaria distilleria guidata da Mark Reynier. Di distillato ne è passato sotto i ponti, da allora. E se possibile l’approccio estremista sul terroir è diventato ancor più intransigente. Ovviamente le releases si sono moltiplicate, sicché oggi sulla scrivania abbiamo un esercito di etichette con toponimi evocativi. Li assaggiamo tutti insieme, così da provare a capire le differenze. Non è impresa semplice, ve lo anticipiamo. Ma lavorare è ancor più difficile e soprattutto meno piacevole, quindi va bene così, non ci lamentiamo.

Waterford Ballymorgan 1.1 (2016/2020, OB, 50%)
Lo scriviamo qui per tutti: sotto la dicitura “cask type”, Waterford elenca per ogni imbottigliamento botti di rovere americano, botti vergini, rovere francese e vino dolce naturale. L’orzo arriva dalla fattoria di Robert Milne ai piedi delle Wicklow Mountains, sulle rive del fiume Slaney. Vi risparmiamo la composizione geologica del terreno. L’outturn è di 9mila bottiglie. C: oro. N: mele verdi e renette, abbastanza acerbe. Un naso verde e giovane, con guizzi erbacei-vegetali (sedano bianco, rabarbaro fresco, rape) e molto distillato. Ricorda certe grappe appena sgorgate dall’alambicco, e anche l’alambicco stesso: note di rame scaldato. Anche una certa dolcezza vaga, di pera e zucchero. Lemon curd. Il bicchiere vuoto sa di carote cotte alla vaniglia: che dessert inquietante, eh? P: ancora giovane, crudo e centrato sulla materia prima, ma con qualche accenno di cremosità in più. Non ha grande evoluzione ovviamente, ma tiene insieme una certa piccantezza vegetale (cardamomo a mazzi, zenzero, ancora un senso di rape piccanti), l’alcol abbastanza robusto, vaniglia e cremina. Gelato alla liquirizia, poi con anche erbe aromatiche, pepe, qualcosa di amarognolo e speziato (ginepro). Lampi di caffè di cicoria in lontananza. Il distillato con i suoi lieviti arriva e rimane… F. …e si prende il finale. Che è amarognolo: olive nere, rame scaldato e cioccolato amaro in polvere.
Ci fa impazzire il giusto. Giovane (ma lo sapevamo, mica è una sorpresa come quando ci provi con una in discoteca e salta fuori che fa la quarta liceo), molto incentrato sul distillato e l’orzo. In bocca è di carattere, con qualcosa di oleoso oltre la piccantezza, ma è un tratto che vira all’amarognolo e non esalta: 79/100.

Waterford Sheestown 1.1 (2016/2020, OB, 50%)
Orzo coltivato nelle vicinanze di Kilkenny, in un appezzamento a nord del fiume Nore, la terra del clan Shee. Terreno ghiaioso e carsico lavorato da Philip O’Brien, padre di Maura, dipendente della distilleria. Composizione dei barili: 35% first-fill American oak, 21% virgin American oak, 25% French oak e 19% vin doux naturel. Outturn: 9mila bottiglie. C: oro zecchino. N: rispetto al Ballymorgan, sembra considerevolmente più levigato e maturo. Prima colpisce un senso di freschezza erbacea, come di felce. Poi ecco platano, foglie di ananas, muschio bianco, olii essenziali di limone di Amalfi. Profumato, vibrante, qualcosa di zucchero a velo. Ah, dimenticavamo l’orzo! C’è proprio il chicco, profuma di chicco (con la C minuscola, non sa di giochi per neonati). C’è anche – e questi sono i lieviti – un senso di Blanc de blancs, di champagne a base Chardonnay. O forse abbiamo solo molta sete. Gran bel naso, col tempo anche pandoro. P: confermata la bella sensazione, anche al palato è setoso, caldo e pieno. Si apre piacevolmente erbaceo (timo? buccia di lime). Burroso, pasticcini di frolla all’ananas e alla banana. Confetti e mentine che si amalgamano a spezie. Pepe bianco in un guizzo, poi è tutta un budino di vaniglia, ma non zuccherato. Pera. F: non lunghissimo e meno sorprendente: orzo dolce, crema di limone, pasta di mandorle con cioccolato bianco. Ma lascia la bocca coccolata.
La differenza è netta, qui siamo in terreni di piacevolezza assoluta e di grande complessità, con un corpo davvero interessante e una bevibilità intrigante. Tradotto: è più evoluto dei suoi 3 anni e ne berremmo a secchielli. Anche l’evidente nota erbacea è ben integrata: 86/100.

Waterford Sheestown 1.2 (2016/2020, OB, 50%)
Stesso terroir, outturn molto più ampio: 30mila bottiglie. Composizione delle botti: 33% di rovere americano first fill ex-bourbon, 25% di rovere francese, 23% in ex-vino francese Vin Doux Naturel e 19% in botti di rovere americano vergini. C: oro zecchino. N: qui l’età è di 4 anni, ma sembrano almeno 12, stessa morbidezza olfattiva dell’edizione 1.1, ma immediatamente sembra più dolce, più carico in termini di barile. Cannoncini con crema pasticcera, mela rossa, anche un po’ di pesca in marmellata. Un naso più sticky, in cui mancano le note erbacee ma a cui si aggiungono arancia caramellata, sciroppo d’acero, prugne cotte. Manca un po’ di freschezza, è un naso più mollemente seduto, anche se profumato. Il bicchiere vuoto ricorda il sugo di pomodoro col basilico: incredibile. P: mmm, rispetto all’1.1 sembra meno equilibrato. A una dolcezza spinta e quasi liquorosa (rosolio, miele di arancia, Grand Marnier) si somma un lato più acidino e quasi amarognolo, diremmo quasi di vermut, con quel tocco di assenzio o genziana. Più legno che orzo. F: coerente col palato: miele, arancia amara, cardamomo e salvia. Pepe quasi affumicato, legno.
Quel 40% di botti vergini o di vino dolce naturale pesa abbastanza sul profilo generale del whisky, in cui a dire il vero l’orzo e il terroir si percepiscono relativamente. A nostro gusto è un po’ troppo carico e dolce, anche se in generale non è male. Piacione e a suo modo più facile, ma noi abbiamo preferito decisamente l’1.1: 83/100.

Waterford Hook Head 1.1 (2017/2021, OB, 50%)
Il faro di Hook Head è a sole 10 miglia dalla distilleria, e da quelle parti Martin Foley coltiva orzo su un terreno argilloso particolarmente esposto ai venti marini e alla salsedine. La varietà dell’orzo è la “Propino”, il lievito si chiama “Mauri”, ma non è l’abbreviazione di Maurizio. Fermentazione di 142 ore, botti così ripartite: 46% first fill ex bourbon, 22% virgin oak, 15% rovere francese e 17% vino dolce naturale. Ne hanno prodotte 30.066 bottiglie. C: oro carico. N: immediatamente dolce, cremoso e americano. Nel senso che si distinguono nitidamente sia le note del first fill bourbon (vaniglia, crema al cocco, pan di spagna al limone), sia quelle del virgin oak, che partono dalla vaniglia ma arrivano al caramello salato, con un accenno di freschezza di clorofilla. Nocciole nel miele di acacia, ma proprio come se non ci fosse un domani e nemmeno un dopodomani. Pesche sciroppate con la panna montata, mandarino e un delicato tocco floreale. E qualcosa di vagamente iodato. P: il primo sorso inizia setoso e amichevole, una carezza di miele, frutta secca e lemon curd. Su cui poi si scatenano parecchie speziette (zenzero e soprattutto pepe bianco), un ricordo di vino e un pizzicorino alcolico mai eccessivo. Dopodiché si richiude sulla pasticceria: pandoro, pere essiccate, sugo di macedonia, torta al limone e soprattutto pane e cioccolato al latte, come a merenda una volta. E un accenno di tabacco, che non si capisce bene da dove arrivi ma regala un’extra complessità. F: caramello salato bretone, budino alla vaniglia su un waffle. Cremoso e godurioso, con un accenno salato (burro d’arachidi) che stempera la dolcezza. Un filo di alcol bruciacchia ancora la lingua.
Per i cultori della dolcezza tutta naturale, senza additivi, silicone o ritocchini di finish. Intendiamoci, le botti la fanno da padrone, non c’è dubbio, e le spezie spadroneggiano. Però resta coerente dalla prima snasata all’ultimo lascito del finale, un whisky che si beve con facilità ma non si analizza con altrettanta superficialità, perché nonostante la giovinezza non è per nulla banale, con quella sfumatura costiera un po’ così, quell’espressione un po’ così che abbiamo noi che abbiamo visto Waterford. Un faro nella notte: 86/100.

Waterford Lakefield 1.1 (2017/2021, OB, 50%)
Seamus Duggan, che coltiva la terra in questa fattoria ad est di Durrow, proprio dove un tempo venne impiccato un vescovo locale, è stato premiato da Waterford come agricoltore dell’anno nel 2019. Barili: 46% ex bourbon first fill da Wild Turkey, Seagram e Heaven Hill, 23% di virgin oak, 15% french oak e 16% di porto e Marsala. Invecchiato 3 anni e 11 mesi. L’outturn è di 30.528 bottiglie. C: oro chiaro. N: abbastanza fresco e primaverile, unisce frutta gialla (ananas, limone, soprattutto torta al limone) con qualcosa di più vegetale/floreale. Non un profumo decadente e pesante, intendiamoci, più una sensazione di bagnoschiuma delicato (alla gardenia?). L’orzo c’è, quasi a volte lo si scambia per popcorn burroso addirittura. Liquirizia dolce e una cremina pasticcera golosa, con poche uova. P: parecchio dolce, miele e pane al miele, anche fette biscottate con un velo di marmellata di pesche. Improvvisamente, anche una netta sensazione di gianduia, quindi cioccolato, burro di cacao e nocciola, e anche latte. Panna per essere precisi, in cui sono state versate anche parecchie spezie (zenzero, cannella). Anche uva bianca e mele cotte, con ancora un accenno di floreale. Pian piano cresce la frutta secca. F: un po’ pizzica l’alcol, croccante alle mandorle, caramello salato e un filo di fumo.
Particolarmente dolce ma anche un po’ troppo alcolico verso il finale. L’influenza dei barili è importante, ma va detto che non perde mai l’equilibrio. Semplicemente, rispetto ad altri W. questo mette meno in risalto l’orzo e più la botte. Facile facile, fa il suo dovere di malto-plaid, ovvero quello che ti coccola quando stai sul divano: 84/100. Però uno mica può passare la vita sul divano no?

Waterford Organic Gaia 1.1 ‘The arcadian series’ (2016/2020, OB, 50%)
La serie Arcadian è realizzata con solo orzo da agricoltura biologica e prende il nome della madre Terra Gaia (che poi è la Gea romana, eh). Gaia è il primo Irish whiskey biologico mai prodotto: sei agricoltori biologici hanno fornito l’orzo di varietà Overture per questa release. Fermentazione di 136 ore, lievito “Mauri” e invecchiamento di 3 anni e quasi 10 mesi. Le botti: 42% first fill ex bourbon di rovere americano, 23% di rovere francese, 18% ex vino dolce naturale e 17% botti vergini. Outturn: 24mila bottiglie. C: vino bianco. N: pane e mele, che è un crossover fra “Pane e tulipani” e “Il tempo delle mele”. Il naso è quello di un whisky giovane e piuttosto spiritoso, con note che ricordano lo slivovitz e l’acquavite di albicocche. E anche le albicocche senza acquavite eh. Diciamo che c’è il cereale sugli scudi, con i suoi lieviti, ma anche la frutta (melone bianco, lychees, cedro candito). Con qualcosa di oleoso. Cenni di frutta sciroppata ma senza nessuna pesantezza appiccicosa. P: stesso fil rouge, tutto giocato fra una dolcezza astratta di lime e zucchero, il pizzicorino dell’alcol e un accenno un po’ polveroso di ovomaltina. Ecco, il cereale e la sua ricchezza sono sugli scudi. Molto diretto, solido. Pian piano il palato si asciuga, si fa più secco, lo zucchero svanisce e rimane scorza di pompelmo rosa con spezie del legno e soprattutto questo senso di pane speziato e salato, con un velo di caramello anch’esso salato. Il caramello, non il velo. F: media lunghezza, di nuovo caramello salato e un senso di cereali imburrati e lontanamente affumicati: liquirizia salata. Guadagna punti.
Bisognerebbe aspettare altri 3-4 anni per avere un capolavoro, ma nel frattempo ci godiamo un malto quadrato e puro, senza difetti. Se proprio dobbiamo trovarne uno, è la gioventù che inevitabilmente un po’ limita la complessità. Un whisky intellettuale, in cui si gode per l’idea di orzo distillato, si coglie proprio la materia prima nel suo divenire. Serge lo ha letteralmente adorato, ma noi le acciughe e la curcuma non le abbiamo sentite e in generale lo abbiamo trovato meno eccitante, anche se comunque un gran bel single malt da 87/100.

Waterford Organic Gaia 2.1 ‘The arcadian series’ (2017/2021, OB, 50%)
La storia di Gaia l’abbiamo già raccontata sopra, questa è la sua seconda release. Orzo “Overture” e “Taberna” raccolto nel 2016 e proveniente da sei fattorie. 181 ore di fermentazione, invecchiamento di 4 anni e 2 mesi e barili così ripartiti: 39% first fill bourbon, 19% rovere francese, 25% ex vino dolce naturale e 17% virgin oak. 30.000 bottiglie rilasciate. C: Sauternes. N: molto centrato su pera e mela, canditi, pane appena uscito dal forno. La gioventù si agita sotto una patina abbastanza spessa di dolcezza vinosa, che ricorda certi vini francesi da dessert. Bucce di agrumi (pompelmo rosa, arancia Navel) e un crescente senso di cereale glassato. Té al limone zuccherato e quel profumo che si sente quando si entra in un granaio: cereale crudo. P: in alcuni tratti ricorda l’evoluzione al palato di Hook Head: dolcezza (qui più vinosa), spezie e cereali. Ancora pere e mele, cotte e candite, ancora agrumi, ancora quella nota di distillato che ricorda certe acquaviti di prugne. C’è un bel kick del legno, che si manifesta sottoforma di bastoncino di liquirizia e una discreta badilata di rovere e spezie piccanti. Anche la tostatura è evidente: toast quasi bruciacchiato spalmato di marmellata di fragole. F: vino da dessert, noci, zenzero e pepe. Qualcosa più umami: pane corso ai fichi secchi e nocciole. Molto buono.
Prima di dire se ci è piaciuto, un appunto: per come siamo noi, che non capiamo un cazzo e lo sappiamo, ma ci dovete tenere così, se avessimo dovuto fare un whisky da orzo biologico avremmo cercato di mettere il cereale al centro del villaggio, un po’ come nella versione 1.1. Invece qui il cereale – che pure si sente, così come il distillato – viene quasi coperto soprattutto da quel 25% di botti ex vino dolce. Che alla fine piallano un po’ le sfumature e le differenze e regalano un whisky piacevole ma tutto sommato poco in chiaroscuro, con l’eccezione lodevole del bel finale: facciamo media fra la filosofia e i sensi e diciamo 85/100, che comunque mica è un brutto voto. Lo trovate ancora qui.

Waterford The Cuvée 1.1 (2021, OB, 50%)
Invecchiato 4 anni e 5 mesi e tirato in 40.000 bottiglie, questo è il primo Waterford in cui 25 Single Farm Origin (ovvero distillati prodotti da orzo proveniente da 25 fattorie a sud-ovest di Dublino) vengono blendati in quel che la distilleria definisce un “concept album”. Varietà dell’orzo: 32% Overture, 30% Irina, 19% Taberna e 13% Propino. C: vino bianco carico. N: la prima cosa che emerge è una mela rossa appena sbucciata, molto aromatica. Poi ecco biscotti sbriciolati, cereali (il muesli però, non i Frosties: cereali seri, non processati e glassati). Un naso leggero, volatile, con zucchero vanigliato, rosa canina in polvere, cannella, anche prugne rosse. Fruttato, e con la frutta compare anche una dimensione più oleosa, quasi di argan. Anche il vino liquoroso fa capolino: vermut bianco dolce a base Erbaluce di Caluso. Quando c’è la precisione c’è tutto. P: un po’ sciapo in termini di intensità, non di corpo. Spieghiamo: al di là dell’immediata giovinezza, c’è poco kick, molta mollezza agiata di composta di mele e panbrioche. Macedonia in scatola sciroppata. Però al contrario c’è tutta questa parte più grassa molto piacevole e avvolgente, fatta di cremina al caffè, mascarpone, olii essenziali di limone e anche olio di lino. Il retrogusto vira all’amarognolo, il che non guasta. Pralina cioccolato al latte e caffè. F: un po’ più bizzoso, spunta l’alcol (finora poco evidente) e il distillato. Cereale, nocciole e cardamomo.
Non del tutto coerente nel corso della bevuta, ma ci sta perché ci eravamo abituati al mono-origine e ora abbiamo un prodotto più sfaccettato. Non è per nulla un cattivo whisky, ma si sente la gioventù più che in altre releases e il finale ci pare inutilmente alcolico, anche un po’ a sorpresa. 84/100. Lo trovate qui.

Sottofondo musicale consigliato: Slipknot – Purity

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