Sarà senz’altro colpa nostra, che siamo miserandi reperti del Secolo Breve e verremo spazzati via dalle nuove generazioni con uno swipe e un ideale calcio nel nostro deretano bianco e piuttosto peloso, ma se pensiamo alla storia di Macallan, a quello che ha rappresentato, ai gioielli che ha imbottigliato, la prima cosa che ci viene in mente non è un tizio vestito da volpe in tutina di lycra che fa le piroette e sembra David Bowie nei panni di Ziggy Stardust.
Fatta questa iniziale premessa e copertici il capo di cenere per non essere abbastanza creativi ed aperti al nuovo per apprezzare appieno questa visionarietà, è il caso di chiarire dove, perché, come, dove, quando… un fiorino!
Siamo stati ad Easter Elchies, la casa morale e fisica di Macallan, per la prima delle tante iniziative celebrative di quest’anno speciale, in cui si festeggia il duecentesimo anniversario della (ufficiale) fondazione. Fondazione avvenuta nel 1824 per mano di Alexander Reid, che dopo l’Excise Act ottenne l’autorizzazione per l’attività di distillazione di whisky di malto che avveniva qui, nella sua fattoria sul fiume Spey.
Ora, i festeggiamenti e i compleanni sono sempre armi a doppio taglio. Da un lato sono l’occasione di esibire il pedigree così da mostrare al mondo i successi raggiunti; dall’altro possono però anche essere inconsciamente il momento di confrontarsi con i tempi che cambiano, spesso non in meglio, con la nostalgia che traspira dai ricordi come fenoli da un dram torbato.
E qui, nel verde della tenuta di Easter Elchies, fra decine di specie di uccelli selvatici, i salmoni più ricercati di Scozia e una bellezza paesaggistica che farebbe far pace anche a ucraini e russi, succede esattamente questo.
Dicevamo che siamo qui per la prima iniziativa di celebrazione dei 200 anni, che contrariamente a quanto si penserebbe non è il lancio di un nuovo imbottigliamento, bensì di uno spettacolo. “Spirit: a tale from the Highlands” è stato messo in scena dal Cirque du Soleil in una delle warehouses di Macallan per tutto il mese di maggio. Il bellissimo show, che segna l’inizio della collaborazione fra la distilleria di casa Edrington e la più famosa compagnia di artisti acrobati al mondo, punta a raccontare i due secoli di Macallan, l’arte del whisky making e le connessioni con la natura. E lo fa con equilibristi e ballerini, danzatori e appunto un presentatore vestito da volpe che sembra Ziggy Stardust.
Il resto della serata è una breve visita della nuova, sontuosa e automatizzatissima distilleria, in cui tra i 32 alambicchi in funzione non si vede neanche un umano al lavoro, una cena e la proiezione di un filmato (questo delizioso) che passa in rassegna la storia di Macallan attraverso i suoi timonieri: da Reid a Roderick Kemp – il “padre” degli imbottigliamenti in sherry – fino ad Allan Shiach e alla sua intuizione di marketing e comunicazione che ha fatto del brand un mito e posto le basi per quel che è diventato oggi, ovvero un simbolo del lusso.
Perché in fondo, mentre il party after-show entra nel vivo, vengono serviti i dram del core range e tutti gli ospiti chiacchierano estasiati delle evoluzioni degli acrobati del Cirque, capita che ti cada l’occhio sull’immensa parete di vetro all’interno del visitor centre. Qui, sistemate alla perfezione come pezzi da museo, ci sono le bottiglie, che forse meriterebbero un’estasi e una celebrazione superiori a quelle tributate al sosia di Ziggy Stardust. Il Macallan 1926 Valerio Adami, la bottiglia più costosa mai battuta a un’asta; ma anche quelle panciute di inizio Novecento, i vintages degli anni ’50, financo il mitico 7 anni Giovinetti dello spot tv con la botte che non voleva alzarsi dal letto perché “5 anni non bastano”. Tutti pezzi d’arte distillatoria che secondo noi sarebbero dovute essere protagoniste nella narrazione celebrativa, che al contrario è stata incentrata sul rapporto con la natura e il paesaggio, come se Macallan fosse una ong per la protezione delle colline…
Va beh, ripetiamo e chiudiamo: siamo vecchi. Per cui ci piange un po’ questo cuore alimentato a single malt nel vedere che Macallan sta silenziosamente cambiando pelle, concentrandosi sulla santificazione di se stessa in quanto brand e idea, più che sul prodotto che l’ha fatta grande. Perché Macallan, vale la pena di ricordarlo, non è un logo da parvenu su una t-shirt da pochi spicci. Macallan è sostanza e storia dello Scotch, è forse la distilleria che più di tutte, grazie alla collaborazione con Gordon & MacPhail, ha contribuito alla “invenzione” e poi al successo del single malt Scotch whisky come categoria. Così come vale la pena ricordare che se il rapporto con la natura, che oggi va con tutto come il nero, è un valore per tutte le distillerie, il lignaggio, la qualità e la cura per i legni delle botti sono qualcosa che Macallan è fra i pochi a poter vantare.
Lo ricordiamo noi anche per conto di chi ha preferito Ziggy Stardust. Ma non disperiamo che nel prosieguo dell’anno di celebrazioni uno spazio più consistente per la storia di questo glorioso malto possa esserci.
Chiudiamo questo nostro inconsueto reportage con due recensioni volanti di samples sottratti fra una tartina e l’altra, che comunque qui non è che si viaggia per la stessa ragione del viaggio, viaggiare – come cantava De Andrè. Qui si viaggia per assaggiare malti.
Macallan Classic Cut (2023, OB, 50.3%)
La serie Classic Cut è stata introdotta nel 2017 ed è arrivata al sesto imbottigliamento. L’idea è celebrare appunto il taglio tradizionale di teste e code in distillazione, la selezione del “cuore” del distillato insomma. Invecchia in un mix di american ex bourbon oak e sherry seasoned european oak. C: ambrato. N: non è dirompente ma subito ammiccante, e in particolare oleoso e cioccolatoso, roba che fa venire l’acquolina al naso. Merendine varie e praline, dalla Fiesta agli After Eight. Ecco, l’arancia come sempre nei Macallan più autentici brilla e spunta ovunque. Bitter Angostura, ma anche cannella a volontà, anzi per essere precisi biscotti Speculoos, quelli belgi a cannella e spezie varie. La compattezza – come in certe macchine – è senz’altro una qualità: canditi di arancia, frutta secca, mou e vaniglia si fondono insieme. Pesche e pere cotte con una spolverata di zenzero. Qui e là si nota qualcosa di sporchino, che sembra ricordare gli stivali di gomma. Saranno le ciabatte di Ziggy Stardust… P: la spiegazione più esaustiva del perché imbottigliare Macallan a 40% è come far giocare Mbappé terzino al torneo aziendale di calciotto. A 50 gradi è pieno, avvolgente, l’oleosità del corpo – data dai caratteristici alambicchi piccolini – è eccezionale. A tratti sembra ricordare la carta oleata di certi OBE. Ripetiamo insieme: fudge, cioccolato, mandorle, olio essenziale di arancia. Amen. E crema catalana, con un burro esondante, dalle screziature quasi animali. Col tempo anche guizzi di bacche di goji e qualcosa di floreale. Davvero buono, bello dolce, la parte di quercia americana si sente. F: media lunghezza, cioccolato al latte e spezie del legno, come chiodi di garofano e cannella.
Carico e intenso, autentico. Nel senso che è un tributo, più che al “taglio classico” al “corpo classico” di Macallan. Quelle note tipiche di arancia e crema densa di cioccolato sono certificazione di carattere. Lampi di storia, a cui manca solo un po’ di evoluzione in più per entrare nell’empireo. 89/100.
Macallan 18 yo ‘Colour collection’ (2023, OB, 43%)
Serie Travel Exclusive ideata per celebrare altri due pilastri di Macallan, ovvero la colorazione naturale e l’invecchiamento in sherry. Sherry seasoned oak. C: ambrato. N: la parte oleosa che avevamo apprezzato nel Classic Cut si raffina da un lato, diventando più elegante, con quasi delle note di cera fruttata che tendono al tropicale; ma dall’altro si fa ancor più grassa, con un senso quasi di grasso di prosciutto crudo dolce. Ancora la totale arancia caramellata, ancora lo zucchero di canna. E quindi cosa cambia? L’evoluzione, il tempo. Che portano con sé un corredo da viaggio elegante di frutta esotica, dal mango al melone fino alla papaya. Più del legno, pochissimo riscontrabile, è questa la parte che più indica i 18 anni di maturazione. P: al contrario del precedente, qui la gradazione è un po’ carente e l’impatto è debolino. Però se l’intensità è in calando rispetto al Classic Cut, l’equilibrio è totale. Qui la parte di legno, con un té nero zuccherato avvolgente, si coglie subito. Con un guizzo di pepe e noce moscata. La dolcezza è ben bilanciata e ben integrata, tra arance caramellate, mou e arachidi. Diciamo Snickers, lo snack degli eroi. Banana bread e un senso di verdura cotta. Diremmo le carote. Nel retronasale compare del fumo, che in realtà è forse più frutta secca tostata o sigaro. F: dolce, lungo, più complicato del precedente, con una puntina di cardamomo rinfrescante in mezzo al cioccolato.
Solo un attacco al palato un filo acquoso ci fa dire 87/100. Per il resto, c’è una certa complessità inaspettata in questo whisky. Che pur essendo molto moderno (non aspettatevi i vecchi sherry bomb Macallan), riesce a farsi apprezzare anche da un punto di vista più nerd.