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Glenrothes 34 yo (1987/2023, Ob, 53.6%)

9032. Non sarà chic come il CAP di Beverly Hills che abbiamo imparato a memoria da adolescenti grazie alla serie tv (quante diottrie perse sognando Brenda e Kelly…), ma vi assicuriamo che è un bel numero. Lo è perchè è il numero del barile di Glenrothes distillato nel 1987 e imbottigliato dopo 34 anni come single cask nella “Platinun single cask collection”, da cui sono state prodotte 218 bottiglie tonde tonde. Uno di noi – la fortuna cade sempre sullo stesso capo scarsicrinito… – ha avuto modo di assaggiarlo in anteprima grazie a Velier, che qualche tempo fa ha invitato fior fior di influencer, giornalisti e belle donne (decidete voi in che veste possa esserci andato Zuc) alla presentazione. La quale si è tenuta a Lomazzo alla Trattoria Contemporanea, il ristorante del giovane chef Davide Marzullo.

Si è mangiato assai bene, e l’abbinamento con i drink elaborati a partire dai single malt del core range della distilleria dello Speyside è stato azzeccato. A rendere più intellettuale la presentazione – che i giornalisti si sa come sono, basta un buffet e azzerano le loro capacità critiche – ci ha pensato l’artista Licia Fusai, che ha creato un’opera materica a partire dagli ingredienti primari del whisky: malto e acqua. Bello, ci siamo elevati spiritualmente. Poi però hanno iniziato a servire gli antipasti e l’arte è finita relegata nell’angolo più remoto del cervelletto, sostituita da panificati e guazzetti. Ah, dimenticavamo alla fine il whisky, che ha degnamente concluso il pranzo: il colore è oro.

N: inebriante il primo naso, con un “rancio” alla francese che ricorda l’eleganza demodé di certi cognac. Prugne secche e bucce d’arancia essiccate sono incorniciate da inevitabili sentori di legno e nocciola, foglie autunnali e fiori secchi. La parte fruttata c’è ancora, ed è deliziosamente evoluta: la pera, la pesca bianca, una quantità industriale di kumquat. Ma anche una frutta più cremosa, come di yogurt all’ananas. A questa età, gli aromi si fondono e sono difficili da scindere. Una vaniglia ammaliante si stempera in note di cera d’api stesa sui mobili antichi, una dolcezza morbida di torrone alla nocciola e miele fa da collante. Qui e là guizzi acetici (ribes bianco) e una sensazione metallica che fa capolino all’inizio, salvo poi sparire, lasciando solo un’idea di malto sporchino. Col tempo, anche note di Calvados. Molto complesso, ma mantenendo una certa freschezza.

P: pieno, compatto e severo, è un single malt “old school” senza ombra di dubbio. Il che significa un malto a cui il tempo ha donato caratteristiche particolari, quasi metalliche. Olio motore, lana bagnata, sassi: l’ingresso e il retronasale sembrano quasi più da highlander che da speysider. La parte fruttata è trattenuta dal legno, che come previsto diventa protagonista: cantucci alle nocciole, zenzero in polvere, noce moscata, pepe di Sichuan. Bastoncino di liquirizia. Il barile è senz’altro molto presente, ma ben bilanciato da quella dolcezza che già si percepiva al naso: gelato al torroncino, crema di vaniglia. E poi una suggestione interessante: la Rivella, la bibita nazionale svizzera prodotta a partire dal siero di latte. Trovate un altro blog che inserisce la Rivella nelle tasting notes e vi offriamo una Calanda alla spina. Ancora quel guizzo di minerali e olii sintetici, sassi e meccanici.

F: medio lungo, tutto sulle spezie piccanti del legno, la pasticceria secca e la frutta (ananas e arance) disidratata. Oleoso, da pazzi.

Una premessa: bevuto al termine del luculliano pranzo, in cui spiccavano degli spiedini di cuore di vitello commoventi, ci era sembrato troppo secco, quasi amaro. Ribevuto a distanza di giorni, in condizioni palatali decenti, è invece la più perfetta spiegazione del perché i whisky non si possano recensire a fine pasto: perché l’influenza del cibo mette a soqquadro le papille gustative. Va beh, è un whisky eccellente, austero, pieno di sfaccettature, che riesce a mantenere ancora alcune delle caratteristiche primordiali di un distillato difficile come quello di Glenrothes. 91/100, non di più perché in effetti il legno è già diventato un po’ troppo onnipotente. Comunque è il miglior Glenrothes che abbiamo mai provato.

Sottofondo musicale consigliato: JD McPherson – Lucky penny

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