Oggi ci regaliamo una piccola coccola, ovvero un Glenlivet 15 anni a grado pieno di Gordon & MacPhail che abbiamo messo in bisaccia durante l’ultimo Whisky Revolution Festival di Castelfranco Veneto. Onestamente non ricordiamo chi lo avesse portato, ma chiunque sia stato si è guadagnato un posticino in paradiso. Anzi, se quando arrivi non ti fanno entrare, facci chiamare dal Titolare che gli spieghiamo noi come te lo sei guadagnato.
Comunque, se nella stessa frase si trovano Glenlivet e Gordon & MacPhail, vuol dire che si sta parlando di storia liquida dello Scotch. Distilleria tra le più grandi di Scozia, esperienza plurisecolare; dall’altra parte l’etichetta di imbottigliatori indipendenti più blasonata. Insomma, aria di capolavoro? Il colore è un’ambra chiara.

N: mentre scriviamo il “cappello” introduttivo, il whisky respira dal bicchiere e la stanza si riempie di note fruttate, di mela cotta, torta di mela, ma anche mela appena sbucciata e succo. E anche insalata di pesche gialle. Quando finalmente avviciniamo il naso, siamo colpiti da un senso di vecchiezza, di pavimento di garage: mattoni, terra e polvere. Ma c’è di più. Questa nota sporca (non sporchina, proprio sporca!) richiama anche l’ottone da lucidare, e perfino la colatura di alici. Dato che secondo la cartina geografica Glenlivet non è sul mare, tendiamo a dare la colpa di questa nota al tempo e al barile. Cuoio e frutta ancora: papaya, arancia navel, Polase. Con acqua si fa caramellatissimo, si aggiunge dell’albicocca fresca ed essiccata.
P: allora, qui le cose si complicano. Perché è come cercare di manovrare tre auto insieme. Il primo sorso restituisce la stessa incredibile potenza fruttata del naso, con più o meno le stesse suggestioni: mele a profusione, arance dolci. Allo stesso tempo, c’è una nota caramellata e dolce (sciroppo d’acero? liquore al mandarino?) che si appiccica subito sulle pareti della bocca. E infine c’è una evidente parte amarognola e legnosa, quasi tannica, che viene ovviamente dal legno e che prende la via del caffè tostato, del caffè di cicoria. La sensazione è quella della doga di legno spalmata di sciroppo alle more, con sopra una spolverata di pepe nero. Che snack incredibile, sarebbe! Cacao amaro, carruba. Un OBE importante aggiunge una nota ossidata, oleosa. Con acqua resiste benissimo, ancora oleoso (noce pecan), arancia in crescendo, pepe rosa. Le anime tornano a viaggiare sulla stessa macchina, tutto è più armonico.
F: lungo, sciroppato e tannico allo stesso tempo. Ancora questa sensazione di scissione, come due anziani che dopo una vita insieme hanno comunque sviluppato ognuno una sua personalità e possono stare seduti accanto anche senza parlarsi per ore. Spezie (cumino in polvere, cardamomo, pepe) e un senso di polvere. Ciliegia pure, di quelle dei boeri, che rimane per parecchio.
Un whisky burbero e vetusto, di cui ci colpiscono due cose su tutte: l’intensità ciclopica della parte fruttata e la lunghezza del finale, davvero inconsueta. Ci sono note evidentemente dettate dalla lunga permanenza in bottiglia, ma la maggior parte derivano proprio da metodi produttivi di un’altra epoca. Ovvero: qui dentro c’è roba ben più vecchia di 15 anni. Regge benissimo l’acqua e anzi ne trae giovamento. Non è mai beverino, ma è buono buono buono: 91/100. E quella ciliegia finale…
Sottofondo musicale consigliato: Pulp – Help the aged