Una delle cose più difficili nel mondo dello Scotch è trovare una distilleria più snobbata, antipatica e inutile di Tamnavulin. E questo indipendentemente dal detto (non del tutto vero) che le distillerie che iniziano per T sono tutte scarse tranne Talisker. Il fatto è che Tamnavulin è un impianto costruito nello Speyside durante gli anni ’60 essenzialmente per fornire malto ai blended di Invergordon e poi Whyte & Mackay. Oggi che è di proprietà del gruppo filippino Emperador ha anche un core range, ma continua a tenere ben distanti i turisti con cartelli “no visitors”. Eh pazienza, andremo altrove.
Per questi insindacabili motivi e questo istintivo fastidio abbiamo aspettato parecchio prima di assaggiare i campioni che avevamo in casa. Due whisky molto diversi: un imbottigliamento ufficiale moderno e uno indipendente dei primissimi anni ’90. Vediamo come sono.

Tamnavulin Tempranillo cask edition (2020, OB, 40%)
Affinamento in vino rosso spagnolo della Rioja. C: rame chiaro. N: si apre con note di acetone, solvente e unghie laccate, ma non è sgradevole. C’è anche una nota curiosa che ricorda il pomodoro, anzi il succo di pomodoro. Col tempo, diventa parecchio artificiale, anche se in maniera piacevole: sapone alle rose, profumatore di ambienti alle ortensie. Poi frutti rossi, ancora artificiali: gommose alla fragola, Big Babol all’uva (che ricordi…) e créme de cassis. Buccia di mela Morgan. E una nota molto distinta di birra belga alla ciliegia, la Kriek. Curioso ma non male. Coi minuti spuntano anche pan dei morti e uvetta. P: qui invece c’è il crollo verticale, perché la gradevolezza se la sono dimenticata nell’alambicco. Astringente, acido e amaro: AAA, cercasi (invano) tracce di piacevolezza in questa sorta di vodka acquosa. Chinotto senza zucchero, ribes acerbo, tannini feroci. Lega il palato, è alcolico e sgraziato. Mallo di noce, bucce di agrumi. La Kriek, che ci aveva intrigato, è sparita. La frutta pure. Tutto si asciuga e una goccia d’acqua – se da un lato attenua l’asprezza – dall’altro sfalda tutto. F: molto corto, amaro, tra legno fresco, noccioli di amarena ammuffiti e cattiveria.
Il naso, seppur molto costruito e sfacciatamente artificiale, non era malissimo. Almeno c’erano note piacevoli. Il palato è tutto scombinato e graffia a 360°. Il finale è pure peggio: 74/100.

Tamnavulin 15 yo (circa 1990, Moon Import, 45%)
Un imbottigliamento storico dell’etichetta di Bepi Mongiardino. Non ufficialmente parte della seconda “The Birds series”, ma il periodo è quello. Invecchiamento in barili (pare) ex sherry, 3.600 bottiglie. C: oro. N: abbastanza a sorpresa si apre con mandorla fresca e orzata, ma senza la parte sciropposa. Legno appena spaccato. Poi, ecco la frutta, che come spesso succede nelle bottiglie vecchiotte è quasi sudata, processata: nespola e soprattutto melone, di quelli extra maturi. Qui e là, ci sono sfumature di legno aromatico (sandalo?) e Acqua Velva. Sicuramente oleoso, mostra anche qualche segno di rancio, dato dal tempo. Pian piano, la dolcezza e la frutta si raggiungono e si integrano: brioche all’albicocca e té alla pesca. E anche mirabelle. P: qualcosa non va. La nota di legno (quasi sughero, ma non sa di tappo) ricorda alcune grappe barricate. Metallo-non-metallo, direbbero i Bluvertigo prima maniera, nel senso che c’è una punta ossidata senza esagerare. Arachidi, gianduia, tanto legno. Forse ha perso gradazione, perché sembra troppo acquoso per sostenere l’astringenza e le spezie. Un ricordo di amarene e bacche di goji essiccate. F: medio lungo, frutta secca e pepe bianco. E legno, ovviamente.
Non ci ha fatto impazzire, soprattutto il palato (e allora è un vizio!) ci è sembrato scombinato, con più di un difetto. Serve molto tempo per far calmare i sapori e trovare un sorso finalmente più equilibrato. Ha potenzialità, ma non va oltre la sufficienza stiracchiata. Anche perché rimane a metà strada fra tante cose senza decidere cosa essere: 83/100.
Sottofondo musicale consigliato: Elbow – Grounds for divorce