Tomatin è una distilleria che ci è sempre stata simpatica. Come fai a non innamorarti di chi quando arrivi ti dice candidamente “noi potremmo vincere dei premi per la distilleria più brutta di Scozia?”. Che poi non è vero, eh. Certo, è un po’ industriale perché la produzione è copiosa, ma il tour è molto divertente, la gente simpatica e – cosa da non sottovalutare – i whisky sono più che decorosi da giovani e clamorosamente tropicali da vecchi. E come ben sapete, noi per il tropicale abbiamo un feticismo che al confronto Quentin Tarantino è indifferente ai piedi femminili…
Tutto questo preambolo per dire che a maggio abbiamo assistito alla degustazione tenuta dal master distiller Graham Eunson e organizzata da Whisky Club Italia nell’ambito dei festeggiamenti per il 125esimo anniversario. Ci siamo portati a casa i campioni e ora li beviamo. D’altronde mica li abbiamo presi per pulirci gli argenti della nonna no?

Tomatin Legacy (2022, OB, 43%)
L’entry level di casa, un NAS invecchiato in un mix di botti: 85% ex bourbon e 15% virgin oak. C: paglierino. N: una raffica di pera, con note evidenti di distillato e canditi. Poi ecco la quercia vergine, che a dire il vero picchia forte per essere in percentuale così bassa: legno verde, cocco, platano. Anche vaniglia. La frutta si completa con un tocco di passion fruit e dell’ananas, ma sotto forma di Pastiglia Leone. Insomma, non immaginate ananas succoso. Basico, forse un po’ magro, ma incredibilmente fresco e spensierato: un dram da ombrellone. P: colpisce la pulizia, e anche il fatto che sia meno dolce del previsto. Il risultato è che ne berresti a tolle. Pasta di zucchero (può esserci pasta di zucchero, non dolce? No, eh?), pera, ananas candito, lime. Pepe bianco a chiudere, dato dal barile. Ancora spiritoso, ma non in senso spiacevole. F: corto, pulito, macedonia disidratata senza zucchero.
Un decentissimo entry level, rispettoso dell’identità della distilleria. Molto fresco, pulito, estivo ed equilibrato. Certo è giovane e non lo nasconde, è semplice e non lo nasconde. Più che nel Glencairn, andrebbe consumato a caraffe ghiacciate. 84/100.

Tomatin 12 yo (2022, OB, 43%)
Mix di botti ex bourbon e sherry. Con questa, lo abbiamo già recensito tre volte: la prima qui, e poi qui in un mitico calendario dell’avvento alla cieca. Record. C: vino bianco carico. N: bello ricco, si apre su una tortina di carota, le Camille della “Macina eburnea” (non vogliamo fare pubblicità: sapete che ci teniamo). Mandorle sbucciate, marmellata di pesche, mele Fuji e acquavite di ciliegie. Scorze d’arancia anche. La frutta ben si innesta su un senso di brioche soffice e cerealosa. Sul finire spunta un cenno vinoso e una nota che a Zuc ricorda i dopobarba anni ’80. L’ultima volta in cui probabilmente si è rasato… Sandalo? P: la parte sherry (Oloroso) si fa più evidente, con legno e frutta secca (stavolta noci e nocciole con buccia) in grande spolvero. Qualcosa di caffè, qualcosa di terra o torbina addirittura, comunque una screziatura minerale sporchina molto highlander. Ancora il binomio forte tra cereale tostato e frutta (la stessa di prima, più la mela rossa). Ecco, forse il distillato si sente ancora un po’, sembra un filo slegato dalla botte sherry. F: media lunghezza, miele di castagno, fette biscottate.
Dunque, partiamo dal voto che è identico alla prima volta in cui lo abbiamo bevuto: 84/100. E rileggendo quelle note, ci pare che il profilo non sia cambiato granché. Stessa frutta, stesse venature intriganti e stesso bel malto. La differenza sta forse in un’influenza più decisa delle botti sherry, che da un lato aggiungono ricchezza e dall’altro forse tolgono un po’ di coerenza interna. Gran bel carattere, però.

Tomatin 30 yo batch #5 (2002/2022, OB, 46%)
Si sale vertiginosamente di livello: 3.900 bottiglie per questo batch, invecchiato in “botti ex bourbon e botti di quercia tradizionali”. Mah, che ce ne siano anche di futuristiche? C: oro. P: Maracaiboooooo…. che bello iniziare una recensione con la parola che più ci piace nel vocabolario Zanichelli: tropicalità. Mango, ananas, banana, crema tropicale mista, ce n’è per tutti i gusti. Voluttuoso. Ah, dimenticavamo gli altri frutti, che sono albicocca e pesca, ma anche una valanga di clementine. Nella frutta è intessuto un legno aromatico (il sandalo di cui sopra) e si spandono guizzi di poutpourri e sambuco. Molto complesso e compatto, ha l’unitarietà di olfatto di certi profumatori d’ambiente delle boutique di lusso. P: dopo un attacco elegantemente floreale, c’è tutta la bancarella della frutta essiccata dei mercatini di Natale. Ripetiamo insieme: mango, ananas, papaya, anelli di mela, albicocche secche, bacche di goji, amen. Ah, pesca e mango anche freschi e con la buccia, come con la buccia è anche il mandarino, con i suoi oli essenziali. E infatti il corpo è divinamente oleoso. Il legno è profumato, discreto, e il whisky cambia mentre è in bocca: da floreale a mielato a fruttato a nocciolato a legno di sandalo a olio di argan. Divino. F: non lunghissimo, si asciuga: buccia di pesca, olio di argan e una nota naif di panino al latte, dolce e maltoso e morbido.
Un grande Tomatin, un inno alla tropicalità come spesso accade dopo i vent’anni di maturazione. Se vogliamo, l’unica pecca è un corpo non troppo pieno al palato e un finale buono anziché ottimo come tutto il resto. Ma la vivacità della parte fruttata e l’eleganza aromatica sono da delirio: 90/100.

Tomatin 36 yo batch #9 (2022, OB, 46%)
Tempo fa avevamo recensito il batch #4, assaggiato al Whisky Revolution Festival di Castelfranco. C: oro. N: un filo più chiuso rispetto al 30, ma ancora a livelli galattici di eleganza. Al naso c’è la stessa frutta (mango, pesca, passion fruit, arancia navel), ma mollemente adagiata su un divano di pelle. Ecco, qui i sentori “di atmosfera” fanno un passo in avanti: profumo di biblioteca, cuoio, arazzi un po’ impolverati, candele… C’è una patina di tempo fatata. E del chinotto. Dopo la favola della volpe e l’uva, quella del Tomatin e il chinotto. P: impossibile scinderlo. Sembra una di quelle illusioni ottiche che appaiono sempre diverse in base al punto di osservazione. La frutta decadente e sudata, il legno, l’incenso, la frutta secca, un accenno balsamico: tutto è avviluppato insieme, con olio di lino, liquore di arance, prugne secche. Perfino delle puntine sporchine. Tutto è molto ampio, a perdita d’occhio e di papilla gustativa. Il retrogusto è di Ricola scura, quella al ribes nero e erbe, e spezie. F: lungo, oleoso, sigaro, prugne essiccate e legno.
Che sia un supremo esempio di complessità lo spiegano già le note. Però c’è un però: e cioè che tutto sembra un po’ immortalato in una fotografia sensoriale. Tradotto, inevitabilmente dopo 36 anni la vivacità si affievolisce. E ovviamente la bevibilità scende di una tacca. Insomma, è un whisky regale, opulento, da occasione ufficiale. E oggi forse noi ci sentiamo più ufficiosi: 89/100.
Sottofondo musicale consigliato: Tom Waits – You can never hold back spring