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Dell’Hypernova vi abbiamo già raccontato, perché vi sappiamo assetati di novità almeno quanto noi lo siamo di sacro nettare scozzese e perché avevamo fretta di dirvi cosa ne pensavamo e di sapere cosa ne pensavate voi nostri amati lettori (a proposito, si è acceso un dibattito interessante sui social, Ardbeg non smette di dividere). Insomma, fatto sta che abbiamo tralasciato il resto della seratona al Mulligan’s, in cui un Andrea Giannone in versione Gerry Scotti magro ha intrattenuto la platea con quiz di cultura generale sulla storia di Ardbeg e la storia dei mondiali di calcio, in cui a chi rispondeva correttamente venivano elargiti ricchi premi e cotillon. Non nascondiamo che ci eravamo preparati di più su altri temi, tipo i film zozzi anni ’70, ma abbiamo comunque fatto una figura decente. Però a voi di quanti gol ha fatto Boninsegna nel ’70 interessa giustamente poco, meglio parlare di quel che si è bevuto.

Ardbeg Traigh Bhan 19 yo batch #3 (2001/2021, OB, 46.2%)
Nella loro massima perfidia, Andrea ed Emanuele (Gozzini, Sales manager di LVMH) non hanno detto subito il batch per evitare pregiudizi. Che fosse il #3, invecchiato in rovere americano e barili ex Oloroso, lo abbiamo scoperto dopo. C: oro con riflessi rosa. N: sorprendentemente delicato, vivido e friccicarello, direbbero a Roma. Sbuffi di pompelmo rosa, acqua di mare, ostriche, lime. Un naso freschissimo che pian piano si arricchisce di anice e vaniglia. La torba, non è un caso se non l’abbiamo ancora citata, è assai nascosta, come un senso di prosciutto affumicato che fa capolino dopo un po’. P: ancora fresco, stavolta più verde rispetto al naso, con una bella gamma di menta, eucalipto e clorofilla, oltre alla già citata anice. Anice guarda i gatti e i gatti guardano nel sole, canta De Gregori. Ok, la smettiamo. Il fatto è che dopo l’ingresso il whisky si fa un po’ deludente, quindi provavamo a glissare. Il corpo è quel che più manca, è piuttosto esile e con un mix non riuscitissimo di dolcezza, pepe bianco e puntine amarognole. Come se in un Danette alla vaniglia qualcuno avesse messo dell’albedo di limone ed erbette medicamentose. Però la torba è piacevole, levigata e regala un plus di complessità e calore al palato. F: zenzero bruciato, ancora sulle erbe amare, con cioccolato al latte secco. Esiste?
La platea lo ha preferito, premiando la freschezza e una beva tutto sommato agevole per un 19 anni. Intendiamoci, non è un cattivo whisky, ma dal palato in giù qualche difettuccio lo mostra, dalla “magrezza” del palato al finale non compostissimo. E quindi? Quindi il pubblico ha sempre ragione, e i recensori intellettual-onanisti come noi si ritirano in buon ordine davanti al successo del batch 3. Daremo il nostro 85/100 con timorosa vergogna e finita lì.

Ardbeg Traigh Bhan 19 yo batch #4 (2003/2022, OB, 46.2%)
Stessa composizione dei barili, risultato assai diverso. C: un filo più chiaro del #3. N: non sembra neanche lo stesso imbottigliamento. Il primo naso è più timido, meno fuochi d’artificio e più riflessività. Quel che colpisce immediatamente sono le note più sporche, sfacciate, con pesce affumicato e formaggio. Senza dubbio i colori della tavolozza sensoriale sono diversi, qui siamo su un profilo più umido e greve, intensamente umami. Con il tempo questa coltre di colesterolo fumè si dissipa ed è qui che la questione si fa interessante: emerge un limone ceroso, un lato minerale che parla di gesso, scogli e iodio. Olio di merluzzo gocciola qui e là. Ma anche frutta tropicale quasi andata, impastata con cola e caramello. Qualcuno sta bruciando delle boule di gomma dell’acqua calda. P: si resta sul lato oleoso della luna, tra arachidi tostate, catrame, liquirizia pura. Anche fava tonka. In generale è più caldo, più spesso e materico. Rimane la vena erbacea amarognola, con rabarbaro e un tocco di china, ma rimane – e dà struttura! – una dolcezza piena, di crema catalana con un pizzico di sale e frutta gialla cotta. Con spezie varie. F: pigne, cenere, pepe, legno, noci e fumo. Lungo.
Come detto, noi si era in minoranza sparata. Ma al nostro tavolo a condividere l’impressione avevamo il gigantesco Marchino Cremonesi, il cui voto in una democrazia alcolica dovrebbe valere x 100. Insomma, noi abbiamo preferito il batch #4 per la maggior struttura, l’ampiezza e profondità di palato, l’intensità e il corpo. E anche per la complessità, perché ci ha fatto divertire di più anche a costo di un primo naso bizzarro e divisivo. Quindi, noi gli si dà un 89/100: ora e sempre minoranza e resistenza.

Ardbeg 25 yo (2022, OB, 46%)
Lo abbiamo già recensito in un’edizione precedente, quindi vediamo se è cambiato. Tutto maturato in botti ex bourbon. C: vino bianco. N: quando nei libri classici si cita l’ambrosia, il nettare degli dei, il sospetto è che abbia questo profumo: torta paradiso, ananas disidratato. Un olfatto fine, molto elegante e delizioso, che regala anche digressioni minerali, con caramelle Selz al limone e cardamomo. Anche parecchia camomilla ed erbe di campo bruciate. C’è poi un lato marino rotondo ma evidente, che evita le asprezze ma si sviluppa intorno a una dolcezza di fondo di mela: cozze affumicate, alghe à la Talisker. Il legno non si sente mai, il bicchiere vuoto regala un’idea di prosciutto al forno laccato al miele. Poi, tutto d’un tratto, ecco una nota distinta di toner di stampante. P: si apre oleoso, con una torba potente che impregna di sé la crema alla vaniglia e il cioccolato bianco. Dopo 25 anni ancora il cereale domina, solido, con guizzi di limone, pepe bianco e mare. Qui un accenno di legno, discreto, si impasta bene con la frutta gialla (ancora mela, cedro, forse carambola matura). Più fresco del previsto, se vogliamo manca un pizzico di coraggio nel palato. F: torba, sale, cereale affumicato e piccantezze. Pesce, ma mai esagerato.
Un giudizio facile e uno più difficile. Quello facile: ci ha colpiti meno della precedente release assaggiata, ci sembra un poco più ordinario. Ottimo, elegante, complesso, ma senza quel carattere che ce lo renderebbe indimenticabile. Quello difficile è il voto, perché come detto siamo ancora nel campo dei dram inscìveghen: ad avercene. Quindi buono e delicato ed equilibrato, ma senza stupire. Tradotto fa un 88/100.

Ardbeg 8 yo Manzanilla single cask (2013/2021, OB, 60.9%)
Eccoci al più atteso della serata, un single cask di 8 anni a grado pieno, il second fill Manzanilla butt n.272, che ha dato 671 bottiglie. C: ambra. N: che entusiasmante senso sulfureo di peccati infernali. Si apre particolarissimo e intenso, con un senso di jerk chicken, il pollo grigliato, affumicato e speziato alla giamaicana. Peperone rosso bruciato, anche, come quando il pezzetto di peperone dello spiedino ti cade sulle braci. E mandorle tostate come se non ci fosse un domani. Lo sherry è tanto, ricco di amarene sotto spirito, arancia quasi ammuffita e paprika affumicata. Con il tempo emerge un poderoso senso balsamico di resina di pino, chicchi di caffè e After Eight. P: un visionario dice che sa di traversine della ferrovia impregnate di grasso, ruggine e gasolio. E noi ci commuoviamo, perché abbiamo trovato qualcuno che condivide con noi l’hobby di leccare i binari del Milano-Treviglio. Fuor di scherzo, ha ragione: è ferroso, intenso, sporco, dannatamente unico. Di nuovo balsamico, stavolta si arricchisce di rabarbaro e china, altrettanto balsamico. La torba è chimica, tra l’olio di motore esausto, il lubrificante e i tizzoni ardenti. Tutto questo arsenale pesante di sensazioni va a braccetto con una dolcezza robusta, di crema catalana bruciata e croccante alle noci. Legno e braci, zucchero e sherry. F: lunghissimo, con legno bruciato, medicinali, vino secco e arachidi tostate salate.
Non meno di 91/100. Semplicemente, è qualcosa di totalmente diverso dal core range, ha un’impronta così unica che ti lascia senza fiato. E anche senza parole, quando ti scarica addosso quel ruggito di indomita violenza. Eppure, quel che lo rende ancor più speciale è il senso di equilibrio generale, il bilanciamento semi-magico di muscoli. Legno, torba, barile, dolcezza, tutto picchia forte e tutti insieme ti accarezzano la fantasia.

Ardbeg Smoketrails Manzanilla edition (2022, OB, 46%)
La serata si chiude con una sorpresa, ovvero il boccione da un litro dell’edizione Travelllers’ exclusive, ovvero l’Ardbeg da aeroporto. Un NAS “nato da un marriage tra american oak e botti ex sherry Manzanilla”. C: oro chiaro. N: se Hypernova era giovane, questo è in fasce. C’è un primo naso acetico, di vino e fiammiferi, che lascia un po’ perplessi. Lo sherry è senz’altro bene in vista, con note di ciliegie, albicocche acerbe, perfino kiwi. D’altronde il Manzanilla è catalogabile come sherry secco. Qualche guizzo di mandorla, un accenno di sale sulla battigia. Non molto altro a dire il vero, a parte il fumo dolce (vaniglia) e una sensazione agrumata. Ma tutto è accennato, niente resta. P: sale e zucchero, l’alfa e l’omega, gli estremi che si toccano. Più verde rispetto al naso, con una dimensione di lime e clorofilla e forse erbe officinali affumicate. Quel che spicca qui è un senso di caramella Elah alla liquirizia e una dose da overdose di mou. Burro, zucchero, cenere e un biglietto Ryanair per la perdizione di Magaluf. F: medio-lungo, ancora molto dolce e vinoso, caramello bruciato. Piccante.
Hypernova, nel suo essere giovane e nudo, è un prodotto ben fatto. Si può trovarlo poco complesso, ma ha il dna della distilleria ben in vista, con sincerità. Qui – a parte che siamo su prezzi e filosofie differenti, che nei Duty Free non si trovano di solito chicche spettacolari -, invece la giovinezza è un limite grave, nel senso che non consente la piena integrazione di torba, spirito e sherry. Il risultato è una giustapposizione di note senza troppa coerenza. Niente di drammatico, ma non ci vivremmo: 83/100.

Sottofondo musicale consigliato: Måneskin – Beggin’

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