Chi frequenta questo sito, la cui amoralità è pari solo ai bassifondi di alcune favelas, ben conosce il personaggio citato nel titolo. Per chi ancora non avesse avuto il piacere di incrociare il suo profilo elegantemente brizzolato e di ingaggiare una discussione social ad alto tasso di volgarità, ecco una piccola intro: Ansalone Davide, burrascosamente avviato verso i 40, residente a Monaco di Baviera e prossimo sposo di una fortunatissima donzella di natali polacchi, è socio di whiskyfacile, nonché anello di congiunzione fra il nostro alcolismo e il mondo dell’Instagram whiskofilo. Uomo di laceranti passioni non sempre lecite e di instancabile dinamismo, in quel della Germania collabora da anni con Tara Spirits e in tale veste (a volte anche senza la veste, nudo come mamma lo ha fatto in quel di Rho) spesso sboccia e degusta, degusta e sboccia. L’ultima volta che è tornato in Italia, probabilmente per sfuggire alla rigida buoncostume teutonica, ha estratto dallo zainetto alcuni campioncini con delle etichette incomprensibili, le ha messe sul tavolo e le ha affidate al tenutario di questa rubrichina: “Toh, questi sono dei rum che ho aperto su a Monaco, facci un Botti da orbi. Oh, comunque alla leg press ormai alzo 170 kg”.
Dato che le due cose non erano strettamente connesse, ma suonavano come una minaccia di prendermi a calci fortissimi nei garretti se non avessi provveduto a recensirli, ho provveduto fingendo di capire qualcosa di rum. E ho iniziato ad aumentare il carico della leg press a mia volta, per legittima difesa.

Mhoba Faq plastic (2017/2021, OB, 64.3%)
Sono andato a studiare, che il nome mi sembrava quello di un cattivo di Star Wars. La Mhoba distillery si trova all’estremo Nord Est del Sudafrica, al confine con Mozambico e Swaziland (eSwatini, il nuovo nome, fa troppo device di Apple, ci rifiutiamo di chiamarlo così). Il suo fondatore Robert Greaves, come spesso succede nel rum, è un pazzo visionario, che sperimenta con piccoli pot stills e fermentazioni da succo di canna, alla maniera dei rhum agricole. Dato che i pazzi spesso si trovano bene insieme, non poteva non finire nel mirino di Luca Gargano, che con Velier da sempre sostiene questi progetti. Il “Faq plastic and chemicals” è la loro prima collaborazione: canna da zucchero bio di varietà Nkomazi, zero pesticidi, coloranti, dolcificanti, filtrazione, e alambicchi artigianali ad alto reflusso. Invecchiamento in botti ex vino rosso. Insomma, Ansalone ci ha portato una specie di unicorno rosa. C: rame carico. N: uno dei nasi più fantasmagorici del 2022. Sul serio, inizialmente la sensazione è di aver tamponato un camion di frutta marcia. Poi però ti accorgi che no, non è marcia, è semplicemente assunta in cielo. Nel senso che è una frutta impastata con gli esteri, a creare una nota mai sentita prima di vernice tropicale. Mango, papaya, banana, ananas. Ma anche colla vinilica, cola, tamarindo, lime nel daiquiri… In particolare questa nota “alta”, acidina, sostiene tutti i profumi. Alcol neppure ravvisabile. Un accenno di fumino, come spesso capita per le distillazioni artigianali. P: la battaglia delle Ardenne in bocca. Nel senso che esplode tutto, c’è un casino totale di sensazioni, attacchi e controffensive. Innanzitutto l’artiglieria dell’alcol qui pesta forte, anche se non lascia vittime, Anzi, tira su l’adrenalina. Poi c’è ancora la cavalleria della frutta, indefinita, cotta e speziatissima, con cannella, macis, pepe rosa che si mescolano al solito tripudio tropical. Poi c’è la fanteria, ovvero un senso astringente di legno tostato, cacao, di nuovo cola, un poco di liquirizia. Poi, quando tacciono i cannoni, rimane in bocca la quiete soddisfatta di un palato epico. F: lungo, tutto su cola, caramello, tamarindo e frutta cotta, però più frutta nera come prugne e more (forse le botti di vino rosso?).
Mai assaggiato qualcosa di simile. Tante cose estreme tutte insieme che trovano un magico punto di equilibrio. Detto della potenza di fuoco della frutta e degli esteri, quel che stupisce è l’effetto di godimento assoluto che rimane alla fine. E stiamo parlando di un rum agricolo sudafricano invecchiato in vino e imbottigliato a 63 gradi, non esattamente roba da milord dai gusti delicati. Eccezionale: 92/100.

Vieux Sajous 2nd release (2017/2021, OB, 56.3%)
Rimaniamo nel magico mondo di Velier, rimaniamo con le mani in pasta nel succo di canna da zucchero, ma cambiamo tipologia di distillato. E andiamo ad assaggiare un Clairin haitiano. Vieux Sajous viene prodotto nel grand terroir di St. Michel de L’Attalaye, da canna della varietà autoctona tradizionale Cristalline. Fermentazione spontanea da lieviti indigeni e alambicco a fuoco diretto alimentato a “bagasse” (gli scarti della lavorazione della canna). Questa è la seconda edizione del Clairin invecchiato ed è un blend di 12 barili ex-Caroni ed ex whisky scozzese. C: oro antico. N: meno bomba, più pugnale. Nel senso che non sfoggia la potenza aromatica del Mhoba, ma una palette olfattiva più composita e indiretta. C’è frutta, ma acidina, come pomelo, carambola, kiwi e ananas. La parte vegetale si prende la scena, ricorda per certi versi l’aloe, e anche ovviamente il succo puro di canna. Poi le screziature del barile complicano la faccenda: gli idrocarburi del Caroni sono distinguibili, gli effetti del barile di Scotch meno. Diremmo che c’è una suggestione di gomma bruciata, in lontananza. Ma anche rabarbaro a mazzi, in crescita il balsamico. Cambia molto, spunta anche del cuoio lucidato. C’è da pensarci su. P: diretto, come un gancio destro o un bacio improvviso, decidete voi se preferite farvi spaccare i denti o limonare. Si apre meno dolce del previsto, con le note amaricanti (rabarbaro, quasi genziana addirittura, sicuramente pompelmo e arancia amara) a far da padrone. Tutto si muove abbastanza naturalmente verso il cacao amaro, il pepe, il frutto acerbo del caffè. A fare da cornice quel tocco di vernice, esteri e nafta che tutto avvolge. E che a dire il vero tutto valorizza. Qui forse nel retrogusto, in mezzo a una giungla di liquirizia pura, un tocco di single malt (diremmo torbato) si rinviene. L’alcol è ruggente. F: molto lungo, bruciatino, arachidi tostate, fava tonka e diesel. Zenzero e caramello.
Di clairin abbiamo un’esperienza limitata, per cui prendete con le pinze il nostro stupore. Magari è cosa comune a tutti questi distillati ancestrali di Haiti, fatto sta che colpisce la sua natura multiforme, in cui ogni nota rimane sulla lingua giusto il tempo necessario a cedere il posto ad un’altra. Insomma, è un vortice in continuo movimento, con un finale davvero imprevedibilmente lungo. Nel complesso è forse più profondo del Mhoba, ma anche più graffiante. Manca l’effetto “wow” del suo collega sudafricano, ma rimane un distillato assai tosto. Forse anche troppo, sarà che ci siamo imborghesiti. 89/100.

Caroni 22 yo Berry Bros & Rudd (1997/2020, Berry Bros & Rudd for The Nectar, 60.3%)
Poteva il nostro Ansia-lone non portarci un Caroncino? Ovviamente no, sarebbe incorso in un anatema spietato. E dunque eccolo con un single cask di Berry Bros di 22 anni. C: rame scuro. N: qualcuno ha dirottato la consueta autobotte di diesel di Caroni. Sul serio, le note di idrocarburi non sono qui a darci il benvenuto e a ricordarci che fare il pieno ormai costa come un weekend in pensione completa. Un naso a suo modo elegante, con tanto cuoio, amarene, arancia rossa, sigaro Havana acceso… I tocchi di catrame e soprattutto gomma ci sono, ma accennati, mai ingombranti. Prendetela con le pinze, ma ha qualcosa di certi single malt pesantemente in sherry, caramellosi e oscuri. Qualcosa di banana, cioccolato, albicocca secca (tanta!) spezie a iosa e legna che crepita nel camino. Curioso. P: no, beh, qui si capisce senza ombra di dubbio che è rum, ma ancora è il legno protagonista ben più dello spirito piratesco di Caroni. Di nuovo agrumi (arancia, mandarino), spezie piccanti in crescita (chili), e un’astringenza potente che si fa sentire senza essere sgradevole. In ordine casuale di suggestione abbiamo: mallo di noce, tabacco, papaya, incenso. Liquirizia, anzi legnetto di liquirizia bruciato e masticato. E poi fondo di caffè moka, cardamomo, passion fruit. F: rimane sul legno bruciato, torna la gomma e impasta tutto. Infinito.
Un Caroni molto diverso da quelli a cui ci siamo abituati dopo la “cura” Gargano. Il che ci lascia supporre una cosa: un invecchiamento continentale e non (almeno integralmente) ai Tropici. Il risultato è uno spirito forse meno mastodontico e greve, meno marcato dal punto di vista del carattere “petrolifero”. In generale, il più whiskoso dei Caroni mai assaggiati. La nostra parte più pigra, che mira a bere roba semplice a secchiate, non se ne lamenta. La nostra parte intellettuale e tesa ad assaggiare cose ostiche ci rimane un po’ male. E forse vince lei, perché se dobbiamo bere Caroni (e pagarlo come tale!), deve sapere proprio di Caroni. Questo si ferma un attimino prima, ma è comunque un signor rum: 90/100.
Libro consigliato: Junot Diaz, “La breve favolosa vita di Oscar Wao”
One thought on “Botti da orbi: la rum(ba) di Ansalone”
[…] Mhoba Faq plastic (2017/2021, OB, 64.3%) – 92/100 […]