Nell’ormai mitologico corso sull’American whiskey di Claudio Riva, la sezione di assaggi dedicata ai single malt da Oltreoceano è stata la più complessa da riportare qui su questo blogghettino. Non perché i prodotti non fossero intriganti, ma perché parecchi li avevamo già recensiti. Pionieri fra i pionieri, col torcibudella ce la caviamo meglio che con la Colt. Fra i vari samples proposti da Whisky Club Italia, ne abbiamo però scelti due “diversamente fumosi” da paragonare.

McCarthys Oregon 3 yo (2013, OB, 42,5%)
Dalla distilleria Clear Creek, Oregon, un single malt invecchiato tre anni in botti a livello di tostatura 2, sia di legno nuovo sia usato, imbottigliato nel 2013. Distillato una sola volta in alambicco pot still, ma non aspettatevi una cosa scozzese: ci sono cinque piatti di rettifica sopra l’alambicco, ed è a bagnomaria. N: torba, iodio, inchiostro e soprattutto una badilata di mercurocromo. Chimico e petrolchimico, con un sentore molto riconoscibile di fungo e terra. Patata cotta nella brace, anzi, cotta sopra dei copertoni incendiati: nouvelle cuisine! Ci sono poi note distinte anche di mezcal, con quella peculiare sfumatura di bruciato e fermentato insieme. E un alone vegetale interessante, che ricorda il talco. P: cioccolato extrafondente torbato, molto interessante. La presenza setosa e aromatica in bocca, con fiori di gelsomino affumicati, iodio e incenso, si alterna a un’anima più brutale e bruciata. E dunque dal fumo profumato emergono tantissimo cacao amaro e creosoto. Ma c’è di più, ed è la parte che deriva dal barile di american oak: polvere di cocco, con qualche uvetta e forse una prugna secca. Miele millefiori e marshmallows bruciacchiati. Palato super contrastato. F: non lunghissimo ma sicuramente non flebile, ancora un po’ di carbone e cacao. Vira all’amaro.
Strano, ai limiti del bizzarro, ma non male. Un 84/100 se lo porta a casa, e sarebbe anche di più se il legno super tostato del barile non portasse il palato un po’ fuoristrada, nel fosso dell’amarezza forse eccessiva. Nel complesso è una bevuta potente e sorprendente, una bella sberla che non ci si aspetterebbe. I fondatori benemeriti di questo blog, i Padri Pellegrini della Brianza alcolica, lo avevano già recensito. Le note sono simili, il voto un filo più basso, e soprattutto chi ha scritto questa nuova recensione non tifa Inter. Ed è la differenza più importante, in positivo ovviamente. [I Padri Pellegrini si dissociano da queste ignominiose affermazioni e si riserva di adire per vie legali verso il barbuto estensore di queste note, NdPP]

Westland peated single malt (2020, OB, 46%)
Distilleria di Seattle, Stato di Washington. Tecnicamente basterebbero due anni di invecchiamento, ma dato che viene definito whisky anche in Europa, di sicuro ne ha almeno 3 alle spalle. Le botti sono di virgin oak e first fill bourbon. N: molto, molto vicini a uno scozzese classico, delle Highlands. Pera a iosa, cereale bello solido, frutta gialla (mela golden croccantissima), un filo di mineralità molto alla lontana, come un po’ di polvere da sparo. Aperto, vivace, con agrume generico (limone verde, ma anche arancia) e una foglia di mentuccia. A ficcarci bene dentro il naso viene in mente una cedrata Tassoni ricolma di ghiaccio, naso molto espressivo davvero. E la torba, direte voi? Tanto lontana, quasi all’orizzonte. P: partiamo con una frutta generica, che si evolve verso la mineralità e poi un filo di fumo di candela. L’alcol è molto ben integrato, ma ogni tanto il corpo non è sufficientemente oleoso per sostenere questo carico di gesso e iodio che si porta appresso. Il secondo palato è tutto della torba, che è acre, bruciata, fatta di tizzoni e torsoli di verdura sulla griglia. Caramelle alla frutta affumicate. F: ancora dolcino, pera e pompelmo giallo e braci. Ma con un guizzo di sapone che non è drammatico ma nemmeno eccellente. Il finale (lungo) denota la giovine età più delle altre fasi. Vaniglia a badilate.
Il naso è qualcosa di davvero entusiasmante, per nulla sgraziato, sembra un piccolo miracolo di frutta e freschezza. In bocca paga il dazio dei soli tre anni di invecchiamento con la moneta della piccantezza un po’ irrequieta dell’alcol. Per quel che è, ovvero un giovanissimo single malt americano, merita un 85/100 convinto.
Sottofondo musicale consigliato: Pearl Jam – I am mine