Il gioco delle coppie: cose buone da Islay

Un memorabile striscione esposto dai tifosi grigiorossi allo stadio Zini recitava: “Abbiamo poche pretese: birra, figa e Cremonese”. Noi, che siamo più romantici, nella triade ci mettiamo Islay, ma non vi diremo a discapito di cosa. Insomma, a costo di apparire gente banale, noi proprio non ce la facciamo a dire quelle cose molto radical chic tipo “i torbati mi hanno stufato”, oppure “ormai i whisky di Islay mi annoiano”. No, a noi continuano a suscitarci grossi sturbi, soprattutto quando assaggiamo certe chicchette. Come queste due, riemersi dal permafrost dei samples dimenticati. Uno lo ha riportato a casa Zuc da un viaggio sull’isola avvenuto quando ancora non aveva la barba; l’altro lo abbiamo attinto da una bottiglia di Ermoli quando ancora non aveva i baffi. E dal Pleistocene è tutto, si beva.

Bowmore 17 yo “Warehousemen’s selection” distillery exclusive (1999/2017, OB, 51,3%)
Tremila bottiglie disponibili solo nello shop della distilleria. Invecchiamento in barili ex bourbon, sherry e vino rosso. C: rame chiaro. N: una musica calipso ci entra nelle narici insieme a un tripudio di frutta tropicale, dominata da papaya e guava. A cui seguono mela rossa e fragola. Sembra di giocare a Fruit Ninja. In realtà, la sensazione è di un’insalata di frutta e carne affumicata, dobbiamo segnarci la ricetta. Le suggestioni continuano ad evolversi e ad arricchirsi: melone, pesca, nespole. Tutto è vivacissimo, fresco. E su tutto si adagia una polvere di gesso, a sottolineare la mineralità. La torba è solo un di più, che innerva la struttura del whisky. Dolcetti di pastafrolla affumicati e un senso di pavimento di cantina, più polveroso e oscuro. Sontuoso. P: l’intensità è commovente e la frutta riesce a concentrarsi in un nucleo potente e preciso: fragola, pesca, prugna, amarena e soprattutto melograno. E mandarino, pure. Sensazionale. Completano il quadro sale e una torba minerale, elegante e fusa con la papaya essiccata. Il secondo palato si fa più affumicato, sui toni del cereale. F: pompelmo rosa, frutta secca tostata e quasi affumicata.
Un miracolo di frutta in un mare di eleganza. L’equilibrio è semplicemente perfetto, ogni tipo di barile lascia la sua firma, ma tutti si inchinano alla superiorità del carattere del distillato, che dopo 17 anni ha raggiunto la piena maturità fruttata in termini di evoluzione. Zuc, perché non ne hai portata a casa una cassa? 91/100.

Laphroaig 18 yo The First editions (2000/2018, Hunter Laing, 48,8%)
Invecchiamento più classico rispetto al Bowmore, un semplice refill hogshead. C: vino bianco. N: anche qui il party si apre con un’apoteosi di frutta, anche se è una frutta più gialla. Ananas, banana e cedro, più litchees e kiwi. Uscendo dall’elenco sterile dei frutti, siamo su toni più “chiari”. La torba è invece più evidente e più medicinale, come ci si aspetta da Laphroaig: disinfettante e clorofilla, con una nota distinta di boule di gomma dell’acqua calda. Fresco, con una lievissima pennellata di legno e vaniglia leggera. Molto moderno, ma rispettoso del distillato. P: il primo impatto è suadente e teso insieme. C’è un’anima frizzante e agrumata di lime e pomelo, ma anche un senso avvolgente di oleosità diffusa. Cozze, al tempo stesso dolci e salate. La torba è brillante, anche bruciata, un falò fra gli scogli. Canfora si spande nell’aria come la mestizia quando finisce una bottiglia. F: tanto sale, braci, coquillage e chicchi di caffè bruciati.
Perché ogni tanto dimentichiamo quanto sa essere buono Laphroaig? Perché cadiamo in questo errore? Un 18enne isolano come Dio comanda, fatto bene, molto marino, distintamente medicinale e particolarmente vibrante. 90/100 non è la paura, è la soddisfazione.

Sottofondo musicale consigliato: Five young cannibals – Good thing