Il riscaldamento globale avanza inesorabile, le calotte polari si sciolgono, Greta predica nel deserto, a Milano ci sono 14 gradi a metà gennaio e fra poco branchi di dromedari in trasferta brucheranno sterpaglie in Irlanda. Dunque per sfuggire almeno idealmente a questa desertificazione climatica e morale non resta che rintanarsi in un mondo epico fatto di Nord, ghiaccio e fuoco, dove le divinità sono incazzate come tori a Pamplona e dove imperano violenza e bestie feroci immortali: la Scandinavia della mitologia norrena.
Ora, se volete un riassunto vi comprate tutte le ultime 118 release di Highland Park e vi fate un bell’albero genealogico che vi chiarisca tutti i rapporti (ovviamente anche incestuosi) fra i vari Loki, Freya, Thor e compagnia. Qui al massimo vi possiamo linkare sotto qualche pezzo di Gothic metal che inneggia al votanesimo. Però prima vi spieghiamo perché stiamo parlando di Scandinavia senza un’apparente ragione.
Il motivo, o meglio il responsabile, è quel gran pezzo di maschio runico che risponde al nome di Ansalone, che non sarà un cognome esattamente lappone, ma è comunque colui che ci ha portato una serie curiosissima di sample di whisky vichinghi. In particolare, 4 provengono dalla serie “Nordic casks” di Berry Bros & Rudd. Prima che giunga il Ragnarok, o prima che Ansalone ci torturi con l’aquila di sangue per non averli recensiti, provvediamo.


High Coast swedish single malt (2013/2021, Berry Bros & Rudd, 60.9%)
La High Coast distillery, fondata nel 2010, è per loro stessa ammissione “ai confini del mondo del whisky”. E in effetti, a pochi km dalle rive del golfo di Botnia, non è che sia proprio Speyside pieno. Alambicchi simili a quelli di Kilchoman, procedimento copiato dai giapponesi e fermentazione di 82 ore e mezza sono alla base del processo produttivo. Però ve la vendiamo come l’abbiamo comprata, non è che ci siamo stati in gita eh. Questo è un single malt di 8 anni, un po’ più giovane del primo 10 anni appena uscito nel core range, invecchiato nello sherry hogshead #1384. C: ambrato. N: ma se la milanese in Austria si chiama Wiener schnitzel, il cioccolatino al rum in Svezia si chiamerà ancora cuneese? Ad ogni modo il primo naso è un clash cultural-sensoriale di cioccolato fondente e bordate di paprika affumicata. Ci sono poi fruttini secchi e cotti, dai datteri all’uvetta, fino ai frutti di bosco in salsa. Quel che emerge è anche una nota dolce di barbabietola, davvero distinta. Il resto è cangiante e va dalla salsa teriyaki al cuoio fino al caffè, con un tocco floreale. P: lo sherry è pesante come Babbo Natale dopo il cappone. Astringenza tosta, tabacco e cioccolato extrafondente. L’uvetta (quella bruciacchiata del pandolce genovese) si accompagna ad amarene e arance rosse. Poi è la volta delle spezie (anice, cannella), ma la sensazione è una sola: anche un pochino meno astringenza la prossima volta eh. Con acqua migliora molto, spunta del miele di castagno e una bella mora. Il frutto, cos’avete capito, che in Svezia ci sono solo le bionde. Le sigarette ovviamente. F: sherryyyyyyyyyy. Cioè chiodi di garofano e legno allappante.
Nella terra della socialdemocrazia emotiva e non violenta forse usare il termine “sherry bomb” può costarci sei mesi di carcere, che comunque la cella sarebbe più comoda dei nostri appartamenti. Ma fortunatamente siamo nella scorretta Lombardia e dunque possiamo dire che qui con il barile hanno usato la mano pesante. Il che però non toglie nulla in termini di intensità e carattere a un distillato ben fatto. Non il più educato dei whisky, ma come dice Elio “neanche l’ultimo degli stronzi”. 86/100.

Fary Lochan Danish single malt (2014/2021, Berry Bros & Rudd, 60.9%)
L’estensore di questa rubrica massimamente inutile ha un debole per la Danimarca fin da quando ci è andato per la prima volta e ha trovato un Paese con un tasso di rilassatezza inversamente proporzionale all’ansia che lo divora costantemente. Il caso vuole che la Fary Lochan destilleri (curiosamente è come pronunciano “distillery” gli scozzesi) se ne stia a pochi km dalla città di Vejle, dove il vostro umile amanuense si reca ogni tanto a trovare amici di famiglia. Però no, l’amanuense non ci è mai andato e dunque anche qui vi propina delle info di seconda mano. Fary Lochan ha distillato il suo primo whisky nel 2009 e Jens-Erik ha deciso di utilizzare le ortiche per essiccare il malto. Le vie del Signore sono infinite, ma anche quelle del demonio eh. Questo hogshead #6 è stato distillato nel 2014 e ha 7 anni. C: vino bianco. N: non si può dire che non sia particolare. L’eufemismo sta a significare che l’attacco è curioso e non del tutto riuscito, con una sensazione di materia inerte che ricorda la pasta del dentista, ma anche la creta. Da qui parte una dimensione più croccante e verdastra, erbacea, che dal melone giallo e il platano arriva al sedano. A occhio è l’influsso dell’ortica. Col tempo spunta anche una nota affascinante di campo umido all’alba, dopo la pioggia. Che poesia. Diciamo una cosa forte: qualcosa ricorda il rum agricole. P: continuiamo sulla bizzarria, ma un paio di passi più avanti in direzione della piacevolezza. Per cominciare, si conferma il senso di verdura, di radici. Liqurizia, catalogna amara. Poi malto verde appena appena torbato e legno aromatico. Anice e cumino dei prati. Tamarindo. Con acqua – necessaria – cresce l’amarezza, come nella vita. F: fumino erbaceo, secco e finalmente pulito.
Questo è uno dei motivi per cui viaggiare vale sempre la pena. Nel senso che qualsiasi cosa ignota a cui ci avviciniamo, seppur spaventevole e minacciosa, può sempre nascondere delle sorprese. Non è un whisky di cui ci si possa innamorare, ma ha il coraggio di essere “altro”, di non scimmiottare lo Scotch e di trovare tutto sommato un profilo peculiare tutto giocato sulle note verdi. In particolare, la torbatura è qualcosa di mai provato prima. Un 83/100 è meritato.

Kyrö Finnish malt rye (2016/2021, Berry Bros & Rudd, 54.6%)
Voi potete anche non crederci, ma il naturismo nordico non è un mito, bensì realtà pura e semplice. E se non ci credete cliccate sulla homepage della Kyrö distillery e contate i deretani nudi di villici finnici che corrono in un campo. In realtà un minimo aggancio alla realtà oltre l’esibizionismo gay friendly c’è: infatti l’idea di una distilleria nasce mentre 5 amici stanno facendo la sauna e bevendo whisky di segale. Molto salubre come pratica. Insomma, dato che nessuno in Finlandia lo aveva mai fatto, ci hanno pensato loro. Segale al 100% anche per il loro gin, che qualche premio lo ha vinto. Insomma, al netto dei glutei esteticamente rivedibili, impossibile non trovarli simpatici. Questo è un rye di 5 anni, barrel #16037. C: rame. N: che conforto trovare il puro, inequivocabile profumo della segale. Un aroma vibrante, più “alto” rispetto al rye americano, che tende a essere un po’ compresso dall’arroganza del barile. Qui invece ci sono note di mandarino, cereale, acquavite di albicocche e banana cotta. Un accenno acidino, come di pasta di pane in lievitazione. Le spezie non mancano (cannella, chiodi di garofano), ma col tempo quel che emerge è un accenno balsamico delizioso di resina e pigne. Sembra di entrare in uno chalet. P: che buono, dolce e piccante come ci si aspetterebbe da un rye, seppur fatto da finlandesi col vizio degli spogliarelli. Arance caramellate e pepe rosa aprono il palato, che è super ricco, oleoso. Colate di toffee, Fruitella al limone, una nota evidente di rabarbaro. Le spezie anche in questo frangente arrivano con calma, ma non si nascondono: anice, tabacco da masticare. Balsamico e con un guizzo di violetta. Davvero ottimo. F: lungo, caffè zuccherato, Ricola alle erbe e pepe.
Sorprendente nella sua spettacolare solidità e nella vivacità di sensazioni. Fa riflettere sulle infinite potenzialità della segale, cereale antico e frutto perfetto della terra europea, soprattutto nelle zone meno calde. Ma qui oltre alla materia prima evidentemente c’è anche una buona dose di capacità distillatoria, non si fanno rye così piacevoli e armonici se non si è capaci. 87/100.

Myken Norwegian single malt (2017/2021, Berry Bros & Rudd, 61.4%)
L’arcipelago Myken è talmente remoto che al confronto Islay sembra Manhattan. Anzi, Central Park. Su uno di questi magnifici scogli dal 2014 opera la distilleria omonima, la prima nella zona artica, che è un po’ come dire che io sono il primo con la barba lunga nella scala 3 del mio condominio, ma pazienza, ognuno vanta i primati che può. Sono anche i più grandi produttori di single malt del Paese e organizzano anche un whisky camp che se uno avesse quella decina di migliaia di euro che gli puzzano potrebbe essere carino andarci. Va beh, questo è il barrel #15, un first fill ex bourbon, distillato nel 2017. C: vino bianco. N: niente. Ma proprio zero eh, google translate ci dice “ingenting”, in norvegese. D’altronde a 4 anni, a oltre 61 gradi non è che ci si potesse aspettare un concertino di profumi paradisiaci. C’è di buono che l’alcol non brucia, però oltre un senso astratto di cereale, gesso e cordame non si va. Qualcosa di fieno e limone. Con acqua si apre un attimo e acquista dolcezza, tra il marshmallow e il cioccolato bianco. P: qui invece il kick alcolico è possente, anche se non sgradevole. Qui si coglie che stiamo parlando di un torbato, perché c’è proprio il chicco d’orzo affumicato. Moltissima liquirizia, cenere, ancora limone. Screziature vegetali tra l’erba e l’erica. La mineralità è spinta, ha alcuni aculei acidini che ricordano il Riesling della Mosella. Con acqua si fa più amichevole, ma anche un filo più amaro. F: liquirizia salata, leggera cenere e diluito quasi mentolato.
Il distillato c’è, il barile anche. Certo, come insegnava la pubblicità della Pirelli, la potenza è nulla senza controllo, e dunque senza acqua si “mutizza”, non si esprime. Con qualche generosa goccia d’acqua si svela per quel che è, un single malt molto primordiale, nudo e crudo e piacevolmente minerale come piace a noi. 83/100 sulla fiducia.

Smögen 145.1 ‘A sweet kiss from a smoking mermaid’ (2011/2019, SMWS, 62.7%)
Finita la serie dei Nordic Casks, ci aggiungiamo uno Smögen svedese di 8 anni della Scotch Malt Whisky Society. Aperta nel 2010 da un avvocato e scrittore di libri sul whisky, la distilleria prende il nome dall’isola vicina e produce single malt torbato. C: vino bianco. N: sembra di appoggiare il naso sulla bocca del kiln, c’è proprio una nuvola di fumo di torba marina che si spande ovunque. Da qui partono guizzi isolani evidenti, tra alghe, acqua di mare e falò tra gli scogli. La frutta è ultra acuminata, bergamotto e mela verde, lime e limone. C’è anche qualcosa di medicinale, anche se forse è più garza. E sassi, tanti sassi. La dolcezza sta un passo indietro, molto discreta, niente più che mandorle verdi e pasta di pane. P: alcolico e dolcino, meno impressionante rispetto al naso. E forse anche meno compatto. Ci sono braci, con la loro cenere, senza pietà. Qualcosa senz’altro sta bruciando. Accanto, sia ananas sciroppato/banana/mela, sia note di inchiostro e iodio, che si fanno più sporchine e diventano quasi cherosene. Verdure cotte e molto salate, forse olive. Circondate da fumo denso. F: caldarroste, gomma bruciata, carote cotte e sale.
Mentre si succedevano le fasi di degustazione, ci sembrava di fare un poutpourri delle note tipiche di tutte le distillerie di Islay. Pesca qualcosa da ciascuna, sembra un puzzle sensoriale. Decisamente imperioso nel suo rivendicare tutta la potenza della torba, del mare e del cereale. Non un whisky semplice e accessibile, il grado altissimo e la mancanza di qualsivoglia cremosità lo rendono cosa da nerd più che da bevitori da diporto. Noi rientriamo in entrambe le categorie e dunque non gridiamo al capolavoro come Angus ma neppure lo bocciamo. Riconosciamo le potenzialità ma puniamo alcune carenze di grazie e piacevolezza: 85/100.
Sottofondo musicale consigliato: Waldgeflüster – Wotan song
One thought on “Botti da orbi: scandinavia mon amour”
[…] Fary Lochan Danish single malt (2014/2021, Berry Bros & Rudd, 60.9%) – 83/100 […]