Ah, single malt senza nome, quanto ci intrigate con quel vostro fascino misterioso… Dopo il blind-date su Islay con Mac-Talla (bella serata, ci siamo trovati bene ed è scattata la scintilla: ci rivedremo presto), oggi il nostro Tinder del dram ci porta nelle Lowlands, per fare la conoscenza di Aerstone.
Non che sia semplicissimo, perché non è esattamente il brand più spinto del panorama dello Scotch. Anzi, se l’idea era di tenerlo abbastanza nascosto, ci sono riusciti. Però qualcosa trapela: si sa che dietro al progetto c’è il colosso William Grant & Sons, già proprietario di Glenfiddich, Balvenie, Kininvie (e Hendrick’s gin); si sa che è prodotto ad Ailsa Bay, l’altra mega-distilleria del gruppo, posta sulla costa dell’Ayrshire; si sa che le due espressioni sono entrambe invecchiate 10 anni e imbottigliate a 40%, una nelle warehouses di Ailsa Bay e una invece nell’entroterra. L’idea è dimostrare che il carattere del whisky dipende in maniera sensibile dall’ambiente in cui invecchiano i barili. Interessante, se non fosse che qui uno è torbato e uno no, il che a occhio influisce più del contesto geografico di maturazione e – come dire – taglia la testa al toro e pure alle elucubrazioni. Piccola nota: il prezzo è veramente popolare, intorno ai 30 euro. Vediamo come sono, va’.
Aerstone Sea cask (2019, William Grant & Sons, 40%)
Partiamo con l’unpeated version, che da etichetta risulta essere “smooth & easy”: mix di botti ex bourbon ed ex sherry. N: il mare non c’è, tanto per essere chiari fin dal principio. Di sicuro è molto fresco, questo sì, con un sacco di limone e impasto del pane, con la sua necessaria teoria di lievito. Un po’ di cereale, anche. In generale è un naso fine, quasi esile, molto incentrato sul distillato. La botte fa il minimo sindacale, regalando al massimo un’ombra di zucchero vanigliato. Frutta lontana, susina gialla acerba e bucce di mela (gialla, renetta e Granny Smith). Spunta perfino un tocco quasi floreale, di fiori bianchi. Non è fatto male, ma è totalmente inoffensivo. P: qui è un po’ peggio, ancora tanta pasta di pane, lievito e cereale crudo. L’alcol è un po’ scomposto, a tratti spuntano angoli sgraziati. Riesce a essere ancor più nudo rispetto al naso, con alcol neutro, cereale e zucchero liquido. Rimane la parte fresca di limone e nocciolino di limone, ma ha il problema che allappa. Manca la parte di dolcezza, quel poco di coccola avvolgente di cui tutti noi in cerca di affetto abbiamo bisogno. F: abbastanza inesistente, ancora cereale, alcol e limone.
Non troviamo difetti tecnici di produzione, nel senso che un single malt così giovane spesso mostra ombre più gravi, come le note di cartone. Qui invece handicap così evidenti non ci sono, però il profilo ci sembra un po’ anonimo. Più che altro non capiamo che direzione vuol prendere: se strizza l’occhio ai novizi, allora manca quella parte piaciona che attira il pubblico giovane; se ammicca agli intenditori, gli manca complessità. Forse la chiave è che può funzionare per chi non sempre ha voglia di dram impegnativi, ma spesso ha comunque voglia di whisky, anche con due cubetti di ghiaccio o con della soda. 77/100. Fra gli altri, lo trovate qui.
Aerstone Land cask (2019, William Grant & Sons, 40%)
Versione “rich & smoky”, dove il cereale è essiccato con torba dell’entroterra. Stessa composizione di botti, ex Bourbon ed ex sherry. N: si parte con gomma bruciata: stivale o copertone, decidete voi. Anche qualcosa di pasta del dentista e new make, davvero evidente. Anche qui c’è freschezza, con botte di coriandolo fresco e limone. Rimane il senso di pasta di pane lievitata e una nota di chips di mela. Forse qualcosa della creta fresca (il Das!) oppure ciottoli: ad ogni modo qualcosa di inorganico. Piuttosto simile al Sea, ma con in più la dimensione torbata e quel fumo chimico che però rimane sempre nei limiti della discrezione. Olio di semi di girasole. P: tanto plasticoso e tanto gommoso e tanto coriandoloso, ma non nel senso che sembra carnevale. Per chi non lo sapesse, il coriandolo fresco ha un gusto da odi et amo, perché sembra un prezzemolo immerso nel detersivo. A noi piace, ma nel whisky è un po’ diverso. Per dire, ci piace anche il rognone, ma non in un bicchiere ecco. La torba rimane coerente con il naso, con quel senso di sacchetto di plastica bruciato e il fumo che ne deriva. Anche qui oleoso, di un olio poco nobile. La frutta ci rifiutiamo di citarla, perché sarebbe un esercizio sforzato. New make vegetale e crudo, chicco di orzo e un filo di pera. Ancora pasta lievitata che allappa un poco. F: più lungo del collega, proprio per le note chimiche e bruciate. Zucchero bianco e pera.
Il profilo è piuttosto coerente con il Sea, nel senso che anche qui siamo sul minimalismo all’ennesima potenza. Molto distillato, pochissima botte e anche fermentazione non eccessiva, perché le note sono tutte incentrate sul cereale e ben poco sulla frutta. Rispetto al Sea, però, qui si aggiunge la dimensione torbata, che è assai peculiare e – andando a riguardare le note dell’Ailsa bay – diremmo anche indicativa dello stile della distilleria, con quelle sensazioni chimiche e inorganiche che ci avevano molto colpito anni fa. Alla fine, diamo un punticino in più, giusto perché il naso è particolare e comunque non sgradevole. Il palato un po’ meno: 78/100. Anche lui potete trovarlo qui.
Sottofondo musicale consigliato: Soulwax – Is it always binary
One thought on “Aerstone 10 yo Sea cask (2019, William Grant & Sons, 40%) e Aerstone 10 yo Land cask (2019, William Grant & Sons, 40%)”
[…] Aerstone Sea cask (2019, William Grant & Sons, 40%) – 77/100 […]