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IL GIOCO DELLE COPPIE: Glenrothes 24 yo (1997/2023, Thompson brothers, 48.9%) vs Glenrothes 41 yo ‘Freedom’ (1978/2020, ob FOR vELIER, 50.5%)

La nostra versione (senza Marco Predolin) del gioco delle coppie continua a gonfie vele. Nella nostra spasmodica ricerca di whisky da far sfidare su un’arena per il solo gusto di vedere un vincitore, proprio come negli anfiteatri romani coi gladiatori, oggi facciamo tappa nello Speyside, e nella fattispecie ad una delle poche distillerie di Scozia a non avere un visitor centre: Glenrothes.
Come ben sapete voi che ci seguite fedeli e attenti come setter dal pedigree purissimo, non è che Glenrtohes sia proprio in cima alle nostre preferenze. Purtuttavia, qui non si fanno discriminazioni, qui si beve tutto e tutto si recensisce con quello spirito libero e aperto che ci contraddistingue almeno quanto la sindrome del fegato grasso. Ecco dunque due Glenrothes, siore e siori, e non due Glenrothes qualunque, che qui non si bada a spese, soprattutto quando i samples si scroccano in giro…

Glenrothes 24 yo (1997/2023, Thompson bros, 48.9%)
Un single cask (refill hogshead) imbottigliato dai Thompson: 269 bottiglie. C: ambra chiara. N: siamo alla frutta. Ma come, ma se abbiamo appena iniziato? Ma cos’avete capito, stiamo solo dicendo che il primo naso è ortofrutticolo come pochi. Frutte di ogni genere, da quelle quotidiane (pesca, mandarino) a quelle più esotiche (papaya, melone). Una grande verità è che i malti strutturati come Glenrothes o Tomatin, dopo i vent’anni sprigionano un carnevale di frutta matura. A questo si somma la “firma” della distilleria, ovvero un pizzicotto abbondante di sporcizie di varia natura: metallo scaldato, gherigli di frutta secca, un brodo di dado vegetale tra il sedano e la carota, per fortuna senza cipolla. Col tempo, anche un velo aromatico che ricorda certi profumi floreali. P: questo fil rouge deliziosamente aromatico si ritrova anche in bocca, dove il primo sorso è pieno, ricco. Non eccessivamente dolce, mette subito in mostra una mercanzia di mango disidratato e torta di carote, pesca melba essiccata e cotognata. Quest’anima si accompagna a una parte minerale/metallica che ci fa tornare in mente certe lezioni di chimica delle superiori. Ad ogni modo, le screziature di rame e ossido sono piacevoli, mai esagerate. Convince un po’ meno il secondo palato, in cui compare un mix di gesso e scorze di agrumi non pienamente integrato. Toffee e ancora pesca. F: coerente, toffee (proprio le caramelle mou, che quando le mastichi ti serve un’ingiunzione per riavere indietro le gengive, rapite dal caramello), marmellata non definita e caffelatte servito in una tazza di legno.
Siamo nell’anticamera del grande whisky. Ci fermiamo sulla soglia, per colpa di qualche imprecisione e “sporcatura” di troppo. Ci sono barlumi di eccellenza, soprattutto per quanto riguarda l’anima fruttata, seducente e ben evoluta. Non convincono del tutto certe deviazioni. In generale, sia olfatto sia palato sembrano più piacevoli alle prime, mentre col tempo perdono di precisione. Insomma, 87/100.

Glenrothes 41 yo (1978/2020, OB for Velier), 50.5%)
Selezione di iper-nicchia, solo 62 bottiglie dal barile #19323 selezionato da Luca Gargano. C: ambra chiara. N: rispetto al fratellino, è senz’altro più scuro, ma anche subito più intenso. Anche qui la frutta è a livelli altissimi, con pesca, mango, papaya e fichi. Se c’è una differenza, sta soprattutto nella “consistenza” di questa frutta, che è come avviluppata nell’olio di semi di lino, nella lanolina. Colori a olio, legno di sandalo. Un whisky aristocratico che profuma di salone dei ricevimenti del castello. Sa di arazzi e candele, umidità e nobiltà. Un naso decadente, ricco e agiato eppure un po’ drammatico, con sentori di tempo che passa. Stiamo divagando, ma è uno di quei nasi evocativi, lasciateci volare con la fantasia tra gli alberi genealogici di casate nobiliari distrutte dalle lotte intestine e dai matrimoni combinati fra cugini. In questo naso old school, c’è spazio anche per qualcosa di erbaceo, che diremmo rabarbaro. E come non dire “rabarbaro” quando ci si sente così evocativi? P: il legno è importante, sta assiso in trono e non ci si dimentica per un secondo del suo apporto. Che però è distinto, senza esagerazioni chiassose. Non “tira” all’amaro per dirla più semplice. Super elegante, di nuovo questa frutta “paraffinata” ovunque: kumquat, pesca noce, torta di arance. E poi le spezie, sparse qui e là come i gioielli su una signora: zenzero, una parure di liquirizia, pepe quanto basta. La frutta è meno vibrante e più teoretica, l’astringenza fa ovviamente capolino. Il secondo palato anche qui è meno entusiasmante, una certa acidità citrica pungente che non ci si aspettava rende tutto più incerto. F: agrumi oleosi, ananas ipermaturo, erbe digestive e legno.
L’equilibrio tra frutta e legno è più labile di quello fra moglie e marito. Il tempo mette a dura prova entrambi e qui bisogna dire che per larga parte della bevuta l’equilibrio regge. Cede solo nel secondo palato, quando il barile relega dietro alla libreria di mogano l’esuberanza della parte fruttata. L’oleosità del corpo è quanto di più intrigante offre questo whisky da 89/100.

Sottofondo musicale consigliato: Air – Sexy boy

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