Siccome siamo dei cialtroni, la “settimana Chorlton” la facciamo durare 9 giorni e continuiamo sereni come vacche in India, consci che nulla ci scalfirà. Riprendiamo con uno degli imbottigliamenti della serie “Nouvelle vague” di Chorlton whisky. Il penultimo appuntamento è con un venerando Highland Park sotto le consuete mentite spoglie di “An Orkney distillery”. Un hogshead di 22 anni distillato nel 1999, l’anno in cui tutti pensavamo che un “bug” avrebbe fatto finire il mondo informatico ed elettronico. Va beh, ora siamo convinti che il Covid sia stato un’invenzione, non è che siamo migliorati di molto. Ad ogni modo, vai di Orkney. Il colore è un paglierino caldo e brillante.
N: profumato e gentile, con una vaga tendenza allo sport con vela. Nel senso che accanto al lato più delicato (miele d’erica, tanto mandarino) si innalza evidente un’aria marina di Barbour e tela cerata degna di una crocierina in barca. La freschezza è ovunque, ovviamente anche nel lato agrumato, che è tutto fra lime e limone. Foglie di limone, anche. E perfino un tocco di carambola. Il legno è praticamente assente, il barile ha cesellato senza imporre la sua mano: non un gesto di egoismo, ma al contrario il regalo più grande che possa fare una botte a un distillato. Stavamo dimenticando il lato minerale, che come spesso succede negli HP non è trascurabile: magnesia, una sensazione di polvere e gesso e lana bagnata. Anche un qualcosa di cantina. Col tempo cresce la torbina: camino spento e sale marino. Incantevole.
P: anche al palato, come all’olfatto, il primo impatto è vellutato e gentile, ancora sul miele, che fa gli onori di casa e accoglie il bevitore. Poi il malto si moltiplica e si amplifica. E stiamo parlando del classico malto delle Orcadi, quindi con quella torbina minerale sempre viva e scoppiettante. Dietro questa ricca coltre cerealicola, si nota – qui si – il legno. Non un barile eccessivo, ma quel senso di doghe e bastoncino di liquirizia. Di nuovo la cantina, quella nota che già era distinguibile al naso. La cenere è in crescita, spuntano chips di mela, bucce di pompelmo e sale.
F: lungo, carta bruciata, albedo, legnetto di incenso fumigante e canditi del panettone. Una punta amarognola fa sì che ce ne versiamo subito un altro.
Highland Park è una distilleria che non smetteremo mai di amare. O meglio, potremmo smettere di amarla se potessimo bere solo gli infiniti e cervellotici OB a base di botti ex sherry, che sinceramente lasciano il tempo che trovano. Ma il distillato in sé, soprattutto a grado pieno e soprattutto selezionato dagli indipendenti, è semplicemente strepitoso. Questo whisky non fa eccezione, perché unisce con eleganza le asperità più isolane alle note più gentili ed eleganti: 90/100, passa la paura ma non la voglia di berlo.
Sottofondo musicale consigliato: Mark Lanegan – Strange religion