Torniamo gli snob di sempre, quelli che sanno resistere a tutto tranne che alla tentazione di recensire whisky rari totalmente fuori mercato. D’altronde, vi chiediamo uno sforzo di sincerità: voi non recensireste un Craigellachie Samaroli degli anni Ottanta solo perché introvabile e totalmente irrilevante dal punto di vista della popolarità dell’imbottigliamento? Ah ecco… Orsù dunque, beviamo questo nettare che abbiamo salvato dalla Whisky Week di Como, dove era stato sbicchierato al banchetto di chicche del Mulligan’s Pub. Trattasi del barile #2576, 279 le bottiglie realizzate a grado pieno. Il colore è un paglierino opaco.
N: la prima cosa che si avverte è un senso di cera, o meglio di tela cerata sotto una pioggia mattutina. Molta mineralità si spande nell’aria, mista a umidità di nebbia e vapori: un Barbour bagnato di rugiada. Da qui emerge una levigata sensazione di frutta molto matura, che va dall’ananas al kiwi gold, dalla mela gialla alla mirabella. Una frutta giurassica, che arriva da un passato molto remoto. Qui l’old bottle effect è evidente, spuntano profumi di potpourri, di biblioteca, mobili, cioccolato in polvere e frutta secca (nocciole). La nota sporchina di Craigellachie arriva dopo qualche minuto, con un senso di metallo e laboratorio di falegnameria, con gli utensili un po’ arrugginiti. Sul fondo, anche una punta quasi balsamica. Un naso molto complesso, onusto d’anni e di austerità (eh, ci siamo ricordati improvvisamente dei versi del Parini, cosa dobbiamo fare, auto-castrare la nostra erudizione?).
P: eh. Il primo sorso è sorprendentemente buono, intensissimo tra l’altro. L’alcol è ancora potente, nonostante gli anni. Come spesso succede con malti rimasti in bottiglia a lungo, tutto è molto fuso insieme, quindi andiamo un po’ con ordine. Si apre vellutato, con una frutta morbida, quasi oleosa: ancora mele cotte, ananas maturissimo. Poi, insieme a una sensazione di limone e cera quasi à la Clynelish, entra in scena un battaglione di spezie, che vanno dalla liquirizia piccante allo zenzero, dalla liquirizia salata alla noce moscata. Gli anni in legno qui si fanno sentire, a metà palato inizia ad “asciugarsi”, ed è qui che il malto un po’ sporchino di Craigellachie diventa sovrano assoluto. Qualcosa di grafite (o semplicemente il metallo del worm tub?), caffè fruttato, perfino un accenno di esterificazione. Si fa un filo amarognolo. Praticamente a parte la torba ha una nota di ogni singolo sapore sperimentabile.
F: austero, ancora legno, liquirizia e olii essenziali di frutta. Molto lungo, avvolgente e recupera sul lungo una dolcezza elegante e “anticata” fatta di miele e un pizzico di sale.
Rimaniamo nel mood dei letterati falliti e diciamo che è un whisky “borgesiano”, nel senso che condivide con i racconti dello scrittore argentino Jorge Luis Borges una propensione all’enciclopedismo e ai labirinti. Enciclopedismo perché come accennato prima riunisce tante suggestioni in un solo sorso, con frutta, cereale, note funky, metalliche, legno ecc tutte fuse insieme; labirinti perché è un whisky complesso, a cui l’OBE ha aggiunto un ulteriore strato di difficoltà che fa un po’ perdere il centro del discorso. La cosa più straordinaria è la potenza espressiva ancora intatta. Le parti migliori sono il primo palato e il finale, forse rivedibile il secondo palato, in cui esplode una spezia piccante e una nota di legno meno elegante del resto. La media è un 88/100.
Sottofondo musicale consigliato: Gotan project – Santa Maria (del Buen Ayre)