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Octomore ‘OC6’ (2011/2019, Elements of Islay, 58.1%)

Qualche settimana fa, Zuc è finito a sorseggiare Billecart Salmon e rum haitiani nella prestigiosa sede milanese di Velier, ovvero lo showroom dove impera indisturbato e plenipotenziario Marco Callegari, maestro Jedi inviato da Luca Gargano a conquistare la galassia meneghina. Com’è, come non è, grazie ai buoni uffici di Giacomo, è tornato con alcuni samples. Tra questi, un Octomore indipendente, che non è cosa comunissima, e infatti tra quelli che abbiamo bevuto è il primo. Si tratta di un imbottigliamento della serie Elements of Islay, la geniale etichetta creata da Elixir Distillers in cui si gioca con i nomi delle distillerie dell’isola con le abbreviazioni degli elementi chimici. Questo Octomore – che come voi tutti sapete è il brand più torbato prodotto a Bruichladdich – è invecchiato 8 anni e imbottigliato a grado pieno. Il colore è un bel paglierino.

N: basta versarlo e nella stanza si spande un profumo di medicine andate perdute nell’incendio di una farmacia. Tintura di iodio, vernice appena stesa su una panchina del porto, cose così, che invitano al romanticismo insomma. Il mare è piuttosto evidente: aringhe affumicate, pescherecci diesel, proprio acqua di mare un po’ incatramata e stagnante. C’è anche qualcosa di molto verde, tipo un cannone di eucalipto acceso da un tossico in astinenza di cannabis. Lime, ma anche muschi, licheni, alghe. Umido e bruciato. Banana verde, anche. Una punta di profumo. Con acqua si fa più agrumato e spunta della vaniglia.

P: a qualcuno piace farsi maltrattare, ma noi siamo vecchio stile e sinceramente preferiamo una pacca sulle spalle a un calcio negli stinchi. Molto feroce, non tanto nel senso della torba, quanto della violenza del sorso: l’alcol è duro, la torba diventa smog secco e amaro, come leccare una marmitta su cui hanno sbriciolato dell’albedo di limone. Ah, la piacevolezza questa sconosciuta. Pizzica parecchio, la bocca finisce coperta di fuliggine. Verso il finale prende la forma dell’affumicatura un po’ spartana del mezcal, ma qui sembra più industriale e meno artigianale. Il distillato si sente, spunta anche qualcosa di mandorla amara ed erbe officinali. Sale. Con acqua si fa più abbordabile (cresce la vaniglia, lo zucchero semplice) ma anche più amaro di conseguenza successivamente.

F: mandorla, scarti della combustione del motore a scoppio e limone salato. Un accenno di florealità. Dopo un’infinità di tempo, resta un palato piacevole, finalmente.

Industrial punk, senza dubbio. Inizialmente il naso ci aveva intrigati, ma è come in quei thriller dove il personaggio affascinante si capisce subito che finirà per fare a pezzi qualcuno. Senza dubbio estremo, molto più di tutti gli Octomore ufficiali che abbiamo assaggiato in passato. Questo davvero è qualcosa pensato per colpire, rimanere incastonato nella memoria come un chiodo arrugginito nella mano di un crocifisso. Esageratamente ruvido, soprattutto al palato, non è un whisky di cui correremmo a prendere il bis. Ad ogni modo, non condividiamo la stroncatura spietata che ne dà Serge. Per noi è un 81/100. Che non è esattamente un complimento, comunque.

Sottofondo musicale consigliato: Mayhem – Chainsaw gutsfuck

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