Bling.
Hai una nuova mail non letta.
Da: Daniela Sala di Meregalli spirits.
Oggetto: nasce il primo single malt della distilleria neozelandese Scapegrace.
Un lampo, ma più che sufficiente per accendere una curiosità incendiaria nell’estensore di questa rubrica, che quando si tratta di novità alcoliche – al contrario di quanto succede per esempio nel campo del tifo calcistico – non ha alcun tipo di pregiudizio. E dunque gentile richiesta di informazioni e ancor più gentile invio di campioni. A cui è tempo di dare seguito con la consueta recensione multipla, approfittando del fatto che Jacopo & Giacomo, i tenutari di questo bordello spacciato per blog, sono distratti nel lanciare le ultime due releases della Black Cat series.
Ma prima, due cosucce preliminari.

Scapegrace è un nome che compare ogni volta il frigo di casa viene aperto. Una bottiglia di gin “Black” se ne sta lì, tristemente ormai quasi vuota, a ricordarmi che a forza di Gin Tonic prima o poi il mondo finirà. E a ricordarmi anche che il brand neozelandese fondato da due cognati una decina di anni fa è una vecchia conoscenza: il loro gin ha vinto premi a mani basse recentemente, quindi il fatto che ora imbottiglino (ed esportino, che non è proprio un dettaglio) single malt è sicuramente degno di nota.
In attesa che ad ottobre sia operativa la nuova distilleria a Central Otago, zona vitivinicola di grandi Pinot Noir, i cognatini Daniel McLaughlin e Mark Neal si sono divertiti a lanciare quattro limited releases prodotte da una distilleria ai piedi delle Alpi neozelandesi. Il progetto da 15 milioni di euro vedrà la luce sulle rive del Lake Dunstan proprio sul 45° parallelo a metà strada fra equatore e polo Sud. Nel frattempo, due dettagli random su questi whisky.

Sono prodotti con orzo 100% neozelandese di varietà Laureate. Utilizzano acqua “di 80 anni” (spiegone: le Alpi immagazzinano acqua piovana che tra lo scioglimento e la filtrazione delle rocce impiega 80 anni ad arrivare alla falda acquifera a cui si approvvigiona la distilleria). Per volontà del master distiller Anthony Lawry, iniziano tutti la loro maturazione in botti vergini, soprattutto di rovere francese, quello più comune per invecchiare il vino ovviamente. Le bottiglie ricordano quelle usate per il gin, solo un po’ più tozze. Il packaging è assai curato, tutte insieme formano una sorta di “racconto”. Non sono né filtrati a freddo, né colorati artificialmente.
Detto questo, si beva e poi si discuta, come al cineforum.

Scapegrace Rise I (2022, OB, 46%)
Single malt di 5 anni da orzo Laureate neozelandese, invecchiato in botti di Virgin French oak. 4.548 bottiglie prodotte. La frase: “And so it begins. Although in truth the start was years before now”. C: ambrato chiaro. N: amarene sotto spirito e Boeri in grande quantità. C’è subito una nota acetica e assai “rossa”: aceto di lamponi, ma anche ettolitri di vin brulè, con tutta la sua bella carica di cannella e chiodi di garofano. Molto legno verniciato, cioccolato e ancora spezie (perfino pepe rosa). Il legno è senz’altro protagonista assoluto. Prugne cotte, Kouign-Amann alla cannella (il dolce bretone che per farlo occorre la produzione settimanale di burro di una malga) e Christmas pudding. Col tempo emerge tanta arancia. E bisogna dire che col tempo si fa anche molto più educato, la nota acetica diventa solo piacevolmente acidina e il cioccolato fondente prende campo. Con acqua si fa molto dolce, una caramella Ambrosoli liquida. P: si apre subito speziatissimo, piccante, con qualcosa di un rye whiskey. Decisamente violento in termini di speziatura, con una piccantezza da Ancho Reyes, il liquore a base di peperoncino. Angostura, anche. Pian piano dal pizzicore legnoso emerge del toast imburrato con un velo di marmellata di pesche. Però in generale è potente, con un alcol che non ci va per il sottile. Nel retrogusto ricorda quasi certi rum jamaicani ad alti esteri e congeneri. Col tempo la ferocia si attenua e anche il palato migliora. Con acqua spunta qualcosa di erbaceo. F: abbastanza lungo, ancora cannella e chiodi di garofano, caramello e un tocco di mela rossa. Sugo d’uva, con qualche astringenza da bucce e acini. Diluito, si fa più fresco.
Eh, il rovere francese vergine fa subito capire chi comanda. L’impatto è sfidante, l’arsenale di spezie del barile è imponente e ha due effetti opposti: da una parte regala una ricchezza invidiabile che si riverbera soprattutto in un finale molto persistente, ma dall’altra rende tutto un po’ “ingombrante”. Un whisky poderoso, gonfio di barile, che ha il merito di non degenerare mai nell’eccesso. Il palato inizialmente sgarbato lo penalizza di un punticino: 84/100.

Scapegrace Chorus II (2022, OB, 46%)
Single malt da orzo Laureate neozelandese, invecchiato in botti di Virgin French oak. 7.824 bottiglie prodotte. La frase: “I’m still, in this place. My soul dyed with its colour. I know I am home”. C: rame carico. N: subito più delicato del precedente, come un bimbo che ascolta la mamma quando gli dice di accarezzare con più gentilezza il gatto, altrimenti quello lo graffia. E in effetti gli stessi ingredienti dell’olfatto di Rise (cannella, chiodi di garofano) qui sembrano meno sparati, più suggeriti. Ci sono poi volute di fudge, morbide, che si abbinano a miele di castagno e accenni di fiori. La frutta è meno zuccherina, sui toni di albicocche secche e bucce di arance lasciate sulla stufa. Proprio l’arancia ricorda un Old Fashioned. Ma c’è di più, ovvero qualcosa di vagamente fumé, come una baita in cui la sera prima è stato acceso un camino. Col tempo, cresce un profumo di dolcetti all’uvetta e cioccolato al latte, e al contempo un tocco di cassetto chiuso. Diluito, si perde un po’. Al massimo guadagna un po’ di cuoio. P: molto suadente, attacca dolce e ricorda un panettone burroso alle gocce di cioccolato al latte. Poi ecco il kick del legno (e delle immancabili spezie). Qualcosa di caffelatte zuccherato. La dolcezza è piena e lega insieme un sempre più evidente e goloso cioccolato al latte e un accenno frizzantino, di agrume. Molto ben costruito e – cosa più importante di tutte – pericolosamente beverino. Con acqua si fa eccessivamente dolce, a volte ricorda quasi un babà. F: zenzero dragée, frolla, arance, spezie. Quasi terroso.
Stupefacente per equilibrio e rotondità. Un quadro di Botero fatto whisky, c’è burrosità e glicemia quasi ovunque, ma in una maniera sempre bilanciata dalle spezie, che – va ricordato – sono ancora il main character in questo film. Dolce senza esagerare, piacevole senza voli pindarici, l’olfatto più complesso del palato ma nel complesso sorprendente. 86/100.

Scapegrace Revenant III (2022, OB, 46%)
Single malt da orzo Laureate neozelandese affumicato con legno Manuka, invecchiato in botti di Virgin French oak. 4.366 bottiglie prodotte. La frase: “After all this time, I still feel your careless warmth. The smoke lingers on”. C: rame carico rossastro. N: uèlla, che novità. Qui siamo davvero in un altro continente in termini di aromi. Innanzitutto c’è un lato erbaceo importante, circonfuso da un fumo balsamico di rosmarino e ginepro bruciacchiati. Braci e sottobosco, falò e chitarre che suonano Baglioni e rompono ghiandole maschili che fanno rima. Accanto, il lato agrumato è sicuramente dominante, con parecchio mandarino e lemongrass. E anche chinotto, và. Liquirizia e un lampo vinilico, che in fondo faceva capolino anche nel Rise. Col tempo, emerge una nota di potpourri e una – molto netta – di brioche industriale alla ciliegia. Spezie, as usual. Con acqua ecco del tabacco al mentolo. Curioso, forse non sempre perfettamente omogeneo. P: anche qui l’attacco è dolce, con miele di castagno, poi arriva anche qui il fumo. Che è fumo di caldarroste ricoperte da zucchero bruciato. C’è cioccolato fondente, c’è caffè e c’è Pocket Coffee. In realtà il caffè è costantemente in crescendo, arriva alla moka e ai chicchi torrefatti. Ancora amarena. C’è la stessa, imprecisa sensazione dell’olfatto: tanta roba, molto interessante per di più, ma non sempre ordinata. Con acqua si scindono dolcezza e fumo. F: spezie, braci, cacao amaro e legno. Molto lungo. Diluito, si fa più balsamico.
Parecchio complicato da votare, perché ha dei meriti evidenti e un merito nascosto, eppure anche qualche difettuccio. Meriti evidenti: complessità, originalità, persistenza e bevibilità. Merito nascosto: lascia un palato piacevolissimo anche dopo parecchio. Difettucci: probabilmente a causa della gioventù, non sempre le note di malto affumicato sembrano legate alle spezie dolci del legno, dando sensazioni di scompostezza e artificialità. Però il computo è 4-1 per i meriti, quindi 85/100.

Scapegrace Timbre IV (2022, OB, 46%)
Single malt di 3 anni da orzo Laureate neozelandese, invecchiato in botti vergini di rovere bulgaro. 2.274 bottiglie prodotte. La frase: “The small things, always. The battalion of detail. This is how we’re known”. C: ambra. N: indovina chi apre il naso? Le spezie. Siamo ancora lì, d’altronde la quercia vergine quello fa, invade il whisky di spezie. Qui c’è un ginepro poderoso che introduce poi un lato fruttato solido (mele candite, prugne cotte) e una dolcezza da dessert, diremmo sticky toffee pudding o dolcetti all’uva sultanina. Marsala, anche. Pian piano, le mele diventano renette e spunta quasi un frutto rosso asprigno. Ribes? Tabacco, anche. Con qualche goccia d’acqua, ecco una nota di smalto di cui avremmo fatto a meno. P: molto legno e spezie, ma meno invasive del Rise. Di nuovo alcune note già incontrate come cioccolato al latte, pepe, mele rosse. Anche castagnaccio e un che erbaceo ed amaro, che potrebbe essere cassia. Forse – ma è difficile a dirsi perché non abbiamo esperienza in termini di piante ad alto fusto provenienti dalla terra dei Traci – il rovere bulgaro è un filo più allappante, con una importante nota di mallo di noce. Guizzi alcolici inconsulti. Con acqua si fa più pungente, che è strano ma così è se vi pare. E se non vi pare è così lo stesso. F: media lunghezza, legno, dolci al forno troppo cotti e qualcosa di foglie. Radicchio?
Le similitudini sono con Rise e con Chorus. Con Rise condivide la grande influenza delle spezie. Con Chorus il mouthfeel più carezzevole e morbido. Di suo aggiunge un secondo palato più centrato sul legno puro, anche se senza astringenze devastanti. Sta un po’ in mezzo, con compostezza ma con un filo di timidezza di troppo: 83/100.
C’è un filo conduttore molto evidente in tutta la serie, ed è quello del legno vergine, sia esso francese, bulgaro o di Usmate Velate. Dice il proverbio: il whisky giovane in botte iperattiva sa come ci entra, ma non sa come ci arriva. L’influenza in termini di dolcezze, astringenze e spezie sa essere imprevedibile come il mare aperto, dunque occorre una cura certosina per non farsi sfuggire tutto. Qui va detto che il limite non è mai oltrepassato, anche se tutte e quattro le releases sono giocate sul filo dell’eccesso. In tutte le spezie natalizie (cannella, chiodi di garofano) sono non solo presenti, ma protagoniste. Ma in nessuna diventano ingestibili. In tutte, poi, emerge soprattutto al palato un bel cioccolato rotondo che rende la bevuta sempre piacevole, e sempre molto autunnale, invernale e financo natalizia. Ultimo elemento comune: il finale sempre lunghetto, sempre gradevole, sempre risolto. Poi ci sono le differenze, dal Rise che spicca per nerboruta arroganza, forse esagerata a bottiglia appena aperta ma col tempo sempre più piacevole, al Chorus che si fa preferire per armonia e morbidezza. Discorso a parte per il Revenant, che è il profilo più originale della serie e che può essere divisivo ma è senz’altro coraggioso e meritevole. Timbre, invece, forse non lo abbiamo capito a pieno. O forse arrivando dopo un istrione affumicato è sembrato troppo “normale” per essere un whisky dell’altro mondo.
Ad ogni modo, una serie molto divertente, senz’altro diversa dal solito, e anche prezzata in maniera umana (tra i 60 e gli 80 euro).
Poi, che non si venga a dire che “con 80 euro bevo di meglio”, perché altrimenti vi si risponde che la vita è troppo breve per bere sempre le stesse cose e dunque sti soldi usiamoli anche per assaggiare roba che rompa piacevolmente la monotonia.