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Peat’s Beast Batch strength (2020, OB, 52.1%)

Passato un buon Ferragosto? Grigliato come se foste dei diavoli alle prese coi dannati dell’inferno da cuocere al sangue? Bene. Noi invece abbiamo lavorato per voi e ciascuno dal suo buen retiro di vacanza abbiamo bevuto e recensito, recensito e bevuto. Per esempio abbiamo provato per la prima volta un Peat’s beast. Ok, non una cosa da segnare a penna rossa sul calendario, ma insomma, ci era venuta voglia di un torbatone basilare, senza troppi arzigogoli, e dunque eccolo qui.
Peat’s beast è uno dei tantissimi single malt da distilleria non dichiarata (neppure si sbilanciano sul fatto che sia o meno di Islay: spoiler, pare sia dello Speyside). Il progetto è nato nel 2011 grazie all’etichetta indipendente Fox Fitzgerald, che ha messo insieme un bel trust di professionisti tra cui Richard Paterson per dare vita a questo whisky torbato a 35 ppm. Noi beviamo la versione “batch strength”, che è un NAS non filtrato a freddo, invecchiato in botti ex bourbon e imbottigliato a 52.1%. Ah, il disegno in etichetta è dell’artista brasiliano Doug Alves. Non vi mentiremo dicendovi che ci piace… Il colore è un vino bianco.

N: vinilico. Tanto vinilico. Pure troppo vinilico. Non esattamente Vinavyl, ma insomma… Per fortuna dura poco. Al di là di questa coltre pungente c’è anche qualcosa di bello, però, un paesaggio diviso in due: da un lato erbe aromatiche (maggiorana, dragoncello, ma anche erica o lavanda), dall’altro una mineralità spinta, tipo una mareggiata in inverno con acqua salata che spruzza ovunque. La torba è – ovviamente – molto spinta e anche abbastanza composita: è organica, ma anche un po’ balsamica, con note di pigna bruciata, ed ha anche una dimensione più decisa di gomma e plastica carbonizzata e fumigante. Fruttariani astenersi, non si nota molto di più di un po’ di pera e limone. Con il tempo emerge un tratto di caramella al sapone di cui avremmo fatto a meno. Con acqua il distillato si fa ancor più evidente.

P: quel tocco saponoso che nel naso spuntava solo in coda, al palato si fa più evidente e monopolizza il gusto. Che poi, quella sensazione è data dal cereale crudo, ma sempre saponoso resta. Sapone al bergamotto, per essere inutilmente puntigliosi. Ci sono cenere, tizzoni di falò, scorza di agrume e un accenno di crema di vaniglia, ma proprio un filo. Mousse di limone. Ad ogni modo una certa avvolgenza c’è. Uno spruzzo di mare si sentirebbe anche (sapone alle ostriche). Liquirizia pura, amarognola. Non particolarmente complesso, più giovane e nudo del previsto, con nel retrogusto qualcosa di terroso che ricorda la cassia.

F: media lunghezza, vaniglia, legno bruciato e bolle di sapone. E zenzero salato.

Ci viene il dubbio che il sample non fosse a posto, ma era perfino sigillato! No, perché non siamo convintissimi di questa Bestia: la grazia non ce la aspettavamo, ma un equilibrio maggiore sì. E soprattutto non ci aspettavamo la saponosità. Che non è drammatica, ma stona. Per il resto, un torbato pesante ma non troppo pieno, dolce ma non troppo confortevole. Per noi ha più di un difetto e pochi pregi, soprattutto nella parte più fresca e verde del naso e in un finale dignitosamente pulito. Saremo franchi come gli svizzeri: non andiamo oltre i 79/100, però ne cogliamo la genialità commerciale. Lo trovate qui e anche qui.

Sottofondo musicale consigliato: Gorgon City – Grooves on the vinyl

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