Da una scatola delle meraviglie che sembra il sacco di Eta Beta, il nostro monumentale Corradone nazionale estrae spesso dei samples di provenienza incerta e di nobilissimo lignaggio. Ora, non abbiamo mai capito dove se li procuri, se sul Dark Web o su una rete parallela in cui insieme a Scotch clamorosi si possono comprare anche cornee e reni a km zero, ma non indaghiamo perché rispettiamo il suo segreto professionale. Ragion per cui quando ha schierato tre Suntory degli anni ’80 mica ci siamo scomposti: abbiamo ringraziato, lo abbiamo guardato versarli e li abbiamo bevuti con lui, facendogli compagnia. Non siamo forse i migliori amici che un notaio possa avere?

Suntory ‘Special reserve’ 10 yo (anni ’80, OB, 40%)
Un blended “married in sherry casks”. C: ambra brillante. N: pesca e albicocca qui prendono la scena come Ginger & Fred nei musical. Marmellata di albicocca, frutta cotta mista e pesche sciroppate sono protagonisti assoluti, intorno si agitano note che fanno da comparse: una buona dose di spezie (cannella, chiodi di garofano) e una certa dolcezza di té freddo industriale e grano, con un tocco di solvente. Un naso a pelo d’acqua, che non va in profondità. Epperò col tempo spunta un profumo di cassettiera della nonna, con antitarme e legno di cedro, che è una piccola magia. P: ingresso strambo, come se ci fosse uno “scalino”. Ci spieghiamo meglio: si apre con una vampata di frutta, per qualche secondo sembra piatto e poi ecco dilagare le spezie. La traduzione in fredde tasting notes è questa: pesca sciroppata, pere cotte, un blackout di dolcezza banale e poi tonnellate di cannella, angostura e frutta secca (noci, noci pecan). Retrogusto di mou e caffelatte. F: speziato, secco e più astringente: té (stavolta quello “vero”) molto infuso, tannini.
Eh, un bel blended d’altri tempi e di altra scuola. Ci siamo chiesti cosa ce lo facesse sembrare “altro” da uno Scotch, ma non siamo sicuri: forse qualche sfumatura più off del solito, forse un’evoluzione meno fluida dell’esperienza di degustazione, in cui si aprono alcuni vuoti, delle pause fra una sensazione e l’altra. Ad ogni modo un whisky interessante e piacevole ma non piacione, anzi con un profilo più austero del previsto. Promosso a pieni voti: 86/100.

Suntory Classic ‘The supreme blend’ (1985, OB, 43%)
Imbottigliamento piuttosto raro, per il solo mercato giapponese: un blended di malto da Yamazaki e Hakushu, e di grain da Chita. C: ambra brillante. N: rispetto al precedente, con la sua ricchezza fruttata, è più affilato e meno spigliato. Sembra che abbia un silenziatore di sentori. C’è qualcosa di legno di rosa, vagamente floreale, e una frutta lontana e teorica (sempre pesca e albicocca). Tutto è delicato, dai datteri al miele d’erica. Perfino il senso di zucchero bruciato e crosta di pane troppo cotto nel forno sono accennati. P: abbastanza pieno, più grasso ed agrumato dello ‘Special reserve’. Buccia d’arancia e pompelmo rosa danno un’idea di palato verticale, diretto, quasi frizzante. C’è poi una corposa dimensione di frutta secca (arachidi) e un lato più torbatino e minerale (il malto di Hakushu): tabacco di sigaretta, cumino, pepe rosa. Intrigante. F: medio, ancora con frutta secca e legnetto amaro, e pane nero bruciato. Non un gigante di personalità.
Tecnicamente molto interessante, ben dosato. Però è eccessivamente timido, soprattutto al naso. E’ come se dicesse parecchie cose, ma sottovoce, senza convinzione. E questo suo usare un semitono diminuito lo rende poco espressivo. Peccato, perché come complessità poteva battere il primo. Invece si ferma sotto, a 85/100.

Suntory Crest 12 yo (anni ’80, OB, 43%)
Un blended in decanter di 12 anni. C: oro antico. N: anche qui scontiamo il peccato di timidezza. Però al contrario degli altri, si apre con suggestioni “unte”, come la nocciola, il grasso del foie gras e la carta oleata. Messa così sembra goloso, ma alcune punte virano un po’ sull’eccentrico: il grasso giallo del pollo, e anche una nota quasi artificiale, vinilica, come il retro delle figurine. Nota di retro delle figurine è tanta roba anche per noi, ne conveniamo. Però insomma ha quell’odore lì, tra l’adesivo e la colla. Ovviamente non manca la frutta (per fortuna!): mela golden, mirabelle, si ferma a un passo dal tropicale. Diciamo che esce al casello di Ananas Sud. Marzapane, cioccolato al latte. P: qui qualcosa non va, e non è più colpa della nota grassa. Il problema sono una nota di violetta e un senso di cartone, che sono i segni astrali della pochezza del distillato. Al di là del caramello, del miele grezzo e della frutta cotta, si fa amarognolo, con castagna cruda, e allo stesso tempo di una dolcezza un po’ sguaiata, di caramella Rossana e Amaretto. Non il Bengodi della piacevolezza. F: mandorla amara, buccia di mela rossa.
Non ci ha entusiasmati, abbiamo sentito qui e là parecchi difettucci e anche qualche pecca grave. Certo, la struttura al di sotto sembra buona, con una solidità di corpo che fa sospettare una grande percentuale di malto. Tanto è vero che ci è venuto il sospetto di un sample guasto. Perché così come lo abbiamo assaggiato, non può andare oltre un 81/100.
Sottofondo musicale consigliato: The Animals – The house of the Rising Sun
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