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Hatozaki Pure malt (2021, OB, 46%)

Da qualche tempo, il Giappone sembra l’Irlanda. Non nel senso che vince a rugby e c’è un curioso diffondersi di capelli rossi, ma nel senso che appena uno si distrae un attimo spunta un nuovo marchio di whisky. Il che è senza dubbio alcuno bellissimo, soprattutto se arriva in Italia. Ghilardi, che dall’indiano Paul John al texano Balcones ha il pallino per le novità, si è aggiudicato la distribuzione di Hatozaki, il whisky prodotto dalla Kaikyo distillery. Ormai ci conoscete e ora sapete che vi tocca lo spiegone.

Un sushi misto di botti

Ordunque, la distilleria è una assoluta novità ed è la maniera con cui la famiglia Yonezawa – nel 2017 – ha voluto preparare le celebrazioni dei cento anni di attività. Nel 1918, infatti Kimio Yonezawa iniziò a distillare Shochu all’interno della compagnia Akashi-Tai sake. Per questo, l’idea è stata riportare in vita la distilleria, rimpiazzando il vecchio alambicco a colonna con due pot still di Forsyth’s, il cuore della nuova Kaikyo. Il primo single malt Kaikyo arriverà sugli scaffali nel 2022, intanto sono stati rilasciati due altri prodotti sotto il nome di Hatozaki, il più antico faro del Giappone, costruito nel Seicento durante l’era Edo e tutt’ora bello eretto nel porto di Akashi. Ah, dimenticavamo: nel frattempo una quota della proprietà è stata rilevata da Marussia beverage, comproprietaria anche di Torabhaig e Mossburn Distillers.
Finito lo spiegone, assaggiamo questo Hatozaki Pure malt, che come voi arguti lettori avete sicuramente già intuito è un blended malt. L’età media è di 5-6 anni e la provenienza – nonostante in rete si legga di tutto – è totalmente giapponese, anche se poco si sa delle distillerie d’origine. Ad ogni modo, ogni small batch utilizza 20 barili, fra ex bourbon, ex sherry e Mizunara.

N: lieviti feroci in prima linea, l’età è giovane e si sente, al contrario dell’alcol che invece è bene integrato. C’è qualcosa di sporchino e interessante, che a uno di noi – a cui probabilmente da piccolo i genitori non davano la merenda – ha ricordato il mangime dei pesci rossi dell’acquario, ma che forse è solo il cereale maltato e fermentato, con l’aggiunta di legni molto attivi. Qualcuno ha detto Mizunara? Più che il sandalo, però, si sente un bel limone di Amalfi. In lunghezza, il legno giapponese lascia qualche ulteriore spunto interessante: fiori secchi, mandorle e vetiver in barberia. Incenso lontano e vaniglia, tanto per gradire.

P: meglio del previsto, dolce e rotondo, col cereale ben valorizzato. Biscotti con glassa di zucchero, cedro candito, un lato polveroso tipo pastiglia Leone, che diventa gesso e Aspirina senz’acqua. C’è proprio tutta una teoria di orzo che va dal cereale nudo al cereale torbatino, fino al grist, il macinato. Un lato agrumato amaro va crescendo nel finale, con chips di mela. Alcol qui più caldo rispetto al naso, e anche le speziette sono in crescita.

F: molto asciutto e amaricante, limonata amara che si prolunga nel pepe bianco e in un senso lontano di fumè.

Premio speciale alla pulizia. Un whisky senza dubbio acerbo, ma sincero e molto diretto. Il liquido, che non è prodotto nella distilleria, quindi non può dirci moltissimo su come saranno i primi rilasci ufficiali, ci è piaciuto: leggero, fresco, uno stuzzichino-single malt, nel senso che un sorsino tira l’altro come le olive e le patatine. In più, il Mizunara ci pare donare una screziatura discreta e interessante. Lodevole anche anche il tentativo di tenere la bottiglia a costi ragionevoli. Voto: 83/100.

Sottofondo musicale consigliato: Wolf people – Silbury sands

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