Rovistando con il nostro celeberrimo “Metodo archivio”® nell’armadietto dei samples, abbiamo estratto tre cose di cui semplicemente non ricordavamo l’esistenza. Il “Metodo archivio”® è stato brevettato anni fa e funziona così: quando non troviamo qualcosa – il telefono in borsa, oppure una ricevuta nel cassetto – e ci sentiamo soffocare dall’ansia, iniziamo ad annaspare e a mulinare le mani lanciando cose a caso finché finalmente becchiamo l’oggetto della nostra ricerca. Il prezzo da pagare è un caos mostruoso in tutto il resto di casa, ma quel che conta è l’obiettivo. Così, quando l’altra sera ci è venuto il trip che stiamo battendo la fiacca con le rece, ecco che abbiamo seguito il nostro metodo e ne siamo usciti vincitori.
Il caso ha voluto che dalla pesca miracolosa uscissimo con nella rete tre campioni di whisky tutti dalla Bruichladdich distillery. Poteva andarci peggio, potevamo pescare il Langatun svizzero… Ora, a parte il luogo di distillazione non è che i tre samples abbiano molto in comune, ma il “Metodo archivio”® è così: quando ne inventeremo uno più rigoroso e sobrio per scegliere i campioni ve lo faremo sapere.

Bruichladdich 2004 single cask “Micro-provenance Cask evolution exploration” (2004/2021, OB, 60.3%)
Iniziamo con un whisky sostanzialmente inesistente (ne sono state prodotte 30 bottiglie), che però il nostro inviato in terra di wurstel ci ha fatto pervenire tempo fa. Trattasi di una release della serie Micro-provenance realizzata per il Laddie club tedesco con le seguenti caratteristiche: 16 anni, botte ex bourbon first fill numero 1693, orzo varietà Optic. Ci abbiamo messo più a scrivere le specifiche che a berlo. C: paglierino. N: ah, che splendida sensazione di apocalisse alcolica e materia prima. Al di là del grado insensato, sembra anche giovanissimo a dispetto dei 16 anni e della botte di primo riempimento. Chicco d’orzo crudo, nocciola crudo, mela cotogna cruda. Forse “crudo” è un aggettivo azzeccato. Ci sono agrumi un po’ più complessi del limone: cedro, ma anche un bergamotto aromatico. Davvero incredibile come dopo questa maturazione comunque di tutto rispetto sappia ancora di lievito e pane. Col tempo vaniglia e cocco, le note della botte. Ma comunque il cereale regna incontrastato. P: troppo alcolico anche in bocca, ma il primo sorso è da “effetto wow”: buono, super saporito e intenso. A colpire è l’ottima amalgama fra dolcezza e sapidità, che ci fa venire in mente la senape al miele. Vaniglia e frutta gialla (susine, albicocche) e un pizzico di sale. Con acqua senz’altro migliora, si fa finalmente un po’ cremoso. Succo di frutta alla pesca, crostata o perfino – il livello di perversione sensoriale si fa preoccupante – clafoutis di pesche. Spunta anche qualcosa di fresco, erbaceo: rosmarino? F: cereale e spezie. Noce moscata, stecca di vaniglia, banana essiccata. Con acqua ancora quel tocco verde, come di ruta. E non intendiamo Maria Teresa…
Intellettualmente è un fuoriclasse, perché il discorso sulla provenienza dell’orzo è valorizzato in pieno in questo whisky orzocentrico. Ma dal punto di vista dell’umile bevitore siamo di fronte a un rompicapo. Solo con acqua recupera qualche tipo di piacevolezza ed è un peccato. La filosofia sul grado pieno è un ulteriore cappio, perché a 60 gradi semplicemente lo si condanna a mutilarsi nelle potenzialità espressive. Diamo 85/100 ma non siamo unanimi.

Port Charlotte PAC:01 2011 Heavily peated “Cask exploration series” (2021, OB, 56.1%)
Ammetteremo di non aver trovato risposte al quesito che ci distrugge: distillato 2011, imbottigliato 2021, ma… solo 8 anni di maturazione dichiarati. Perché? Vai a sapere cos’hanno combinato a Bruichladdich. Ad ogni modo, è un Port Charlotte pesantemente torbato a 40 ppm, da orzo Concerto. Doppia maturazione: 6/7 anni in botti di rovere americano e un anno di affinamento in botti ex vino rosso di Bordeaux. C: oro. N: un flash potentissimo ci trasporta davanti al camino acceso a Natale e ci sentiamo già buoni e gonfi di cibo. Vasta la serie di suggestioni: si va dal polpo arrostito alla buccia di mela Morgan, dalla grigliata notturna ai fiori bianchi, dal catrame al rabarbaro. In generale, la torba è tutta incentrata sul barbecue (o è un vulcano???), mentre le note aromatiche prendono anche una via più fresca: balsamo tigre, ma anche quel senso di erba bagnata di rugiada alla mattina. C’è poi frutta secca (noci brasiliane) e lucido da scarpe. In crescita il lato mentolato. P: un corpo colossale, un ingresso poderoso. La vinosità adesso è ben evidente, sempre accompagnata dal lato mentolato ed erbaceo (melissa e ancora piccoli fiori). La torba è pungente, marina e fumosa, ricorda i frutti di mare affumicati di Campbletown. Anche alga wakame. Accanto, si sviluppa l’anima fruttata, che è carica e densa, processata: nespole, clementino e caramello salato. Arachide, pure. Il retrogusto è ancora verde, sul timo. F: coerente e soddisfacente: frutta rossa (mele), caramello salato bruciato, cenere e miele di castagne.
Se quello fra sherry e torba è di solito un matrimonio complicato, quello fra vino rosso e torba finisce in divorzio 9 volte su 10. Questa è la decima. Per qualche insondabile caso – o forse perché a Bruichladdich sono bravi, eh – tutto rimane in equilibrio e tutto arriva insieme, dando un’impressione di grande solidità e struttura.
Ci siamo un po’ entusiasmati e urge tornare sobri. Il fatto è che Port Charlotte sta migliorando costantemente e se anche un finish in vino rosso è così buono allora la tendenza sta diventando certezza. L’olfatto è strepitoso e complesso, il palato dopo l’ingresso in pompa magna un po’ si normalizza, ma in generale è un whisky davvero ben riuscito. 89/100 non glielo leva nessuno.

Bruichladdich Black Art 08.1 26 yo (1994/2020, OB, 45.1%)
Chiudiamo il terzetto con il Black Art, che per il costo abominevole e il look luciferino è il whisky perfetto per i satanisti abbienti. La versione 08.1 è un 26 anni, che non è un record per la serie Black Art ma è comunque una maturazione non banale. Edizione limitata a 12mila bottiglie. Per fortuna, che se non fosse stata limitata forse ne avrebbero tirate un paio di milioni. C: oro antico. N: c’è chi cantava una Rotonda sul mare, noi sentiamo una biblioteca sul mare. Il primo naso è così, un po’ polveroso e chiuso. Poi però affiora la frutta, con melone, pesca tabacchiera, macedonia super matura. Torta di carote anche, a testimoniare un senso di vegetale dolce ma non centratissimo. Amido di patata e malto. A questa dimensione (anche pane lievitato) si connette il legno, che ricorda le assi di pino della sauna. Falò di foglie spento. Sullo sfondo qualcosa di vinoso, appena accennato. La sensazione è di un naso un po’ dispersivo, che fatica a trovare una personalità precisa. P: il corpo è un po’ leggerino, ma la sapidità accennata con cui si apre il palato è piacevole, specie se abbinata al lato fruttato, più etereo rispetto al naso: pesca bianca, mandarancio. Fresco, con un velo di miele di acacia. Il secondo palato invece è più profondo, con legno (zenzero, té verde) e un tocco erbaceo che allappa sul finale. Rispunta un guizzo acidino. Tamarindo. F: lega un po’, come mangiare le castagne crude. Più oleoso e con una nota lunga di cioccolato.
I whisky cattivi sono fatti diversi, ma anche quelli memorabili. Intendiamoci: è una bella bevuta, mai aggressivo, ben costruito, intelligentemente giocato fra spezie del legno, dna marino appena sussurrato e frutta leggera. Ma ha un difetto di focus, nel senso che su qualsiasi lato ci si concentri, l’attenzione dura poco. Saper parlare tante lingue è un talento, ma è un po’ inutile se non sai sostenere una lunga conversazione in nessuna. Ad ogni modo, 87/100 suvvia. Satanisti abbienti, lo trovate anche qui.
Sottofondo musicale consigliato: Temple of love – Sisters of Mercy
2 thoughts on “Tre whisky da Bruichladdich”
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