Nelle Lowlands della Brianza, dove il fatturato è terso come il cielo di Skye e il grano (quello contante, non il cereale) guizza come i salmoni dello Spey, ha appena aperto una distilleria di whisky. In Italia si contano sulle dita di una mano, ma questa è quella che se la tira di meno in assoluto. Il contesto bucolico lo si lascia volentieri ad altri, dimenticatevi le archistar e le fregole sull’impatto ambientale zero: qui si lavora come la gens lombarda fa e insegna ai figli da generazioni e francamente è puro, sano e bello così.
Seregno, centro città, una corte interna fra i capannoni. Da un lato il birrificio Railroad Brewing Company, dall’altro una sequela di portoni, garage, magazzini, fabbrichette. L’appuntamento è per visitare “Strada ferrata”, che nella cartella stampa viene definita “distilleria italiana originale”. A dire il vero non è chiarissimo perché dovrebbe essere taroccata e non originale, ma a parte questo il progetto della distilleria – nato nel 2018 ma inaugurato l’11 febbraio 2021 – è interessante. Tutto nasce dalla collaborazione di Agostino Arioli e i “vicini di casa” del birrificio Railroad, che in effetti linguisticamente mostra una certa parentela con la “Strada ferrata”. Ago è birraio di vecchio pelo e lungo pedigree, nel 1996 ha fondato il Birrificio Italiano, ha donato all’umanità quel capolavoro che è al Tipopils e a forza di sperimentare e innovare è approdato all’alambicco. Benedetto Cannatelli, l’altra metà del cielo, invece è un professore di economia aziendale che ha trovato nella birra il suo habitat naturale e con Tommaso e Stefano nel 2013 ha fondato appunto Railroad. E dunque, poiché due più due fa sempre quattro e poiché un pero non fa le mele, già è chiara una cosa: il malto, cuore dell’attività brassicola, sarà anche il punto forte della nuova distilleria.
Agostino fa da Cicerone e cerca di rispondere alla domanda che più o meno si fanno tutti: il whisky in Brianza, ma perché? “Per curiosità intellettuale, interesse imprenditoriale e perché la materia prima è la stessa della birra – spiega -. Veniamo tutti da lì, siamo cresciuti fra malti e lieviti. Il passo successivo è il whisky. E oggi la scena della distillazione in Italia è pronta”.
Pronti sono anche loro, dopo essersi preparati parecchio. Benedetto e il master distiller Marco “Draco” Giannasso sono andati perfino in Montana a fare un po’ di apprendistato. Il “craft” l’hanno imparato lì, le prove le hanno fatte in casa con un mini impianto, ma la filosofia è tutta farina (o grist) del loro sacco.
Guardandosi intorno si capisce subito che l’idea infatti non è quella di scimmiottare gli scozzesi. A partire dall’alambicco a bagnomaria da 10 ettolitri con colonna di rettifica e deflemmatore: “Non volevamo un pot still perché semplicemente non è la nostra strada. Il focus per noi è il wash”. Anche Benedetto conferma: “Il nostro know how è sul fermentato, quindi vogliamo che il nostro whisky all’italiana, che nessuno sa ancora bene come sia, parta da qui, da un fermentato di qualità”. Il che significa concretamente malti italiani di grande intensità provenienti dalla Basilicata oggi e grani crudi e antichi in futuro, perché “la terra deve parlare”. Nel frattempo, parliamo noi e come sempre facciamo un po’ i nerd sui dettagli. La produzione al momento è di single malt e il macinato è quello di Railroad. La fermentazione dura dieci giorni, utilizza quasi esclusivamente lieviti da birra (ad eccezione del Torbato) e il wash che si ottiene è a circa 10 gradi. Dall’alambicco lo spirito esce a 85%. E qui i binari del logo si dividono…
Infatti non tutto il distillato diventa whisky. Anzi, gran parte si stabilizza per 3/6 mesi in acciaio, viene decantato e filtrato e infine imbottigliato come new make non invecchiato. O meglio New Make con la maiuscola, come si legge dal brand sull’etichetta. Scelta ardita, ma con solide basi. In primis imprenditoriali, perché chi distilla whisky spende ora per rivedere qualche soldo dopo tre anni: “Infatti in molti distillano anche gin – spiega Agostino -. Ma ce ne sono già troppi, quindi ci siamo detti: perché non provare con il new make?”. Approccio concreto, storytelling zero ed è cosa buona e giusta. Il distillato di malto non invecchiato al massimo lo si assaggia in distilleria in Scozia, a duemilionidigradi. Qui invece c’è il tentativo di farne un prodotto fatto e finito, nonché una base interessante per la mixology. E con questo spirito è nata la gamma dei sei diversi new make – due bianchi e quattro aromatizzati – di cui parliamo sotto con dovizia di particolari e tasting notes.
Ora ci concentriamo piuttosto sul whisky, che ovviamente ancora non è per nulla pronto. Le dieci botti riempite finora (o meglio, riempite al 4 ottobre, quando questo puntuale reportage è stato effettuato) riposano dietro una gabbia in un angolo della distilleria, accanto a un tavolone e a un bancone che serviranno per le degustazioni e gli eventi. Molto particolari i legni utilizzati: i primi erano barriques ex Pinot nero e – rullino i tamburi – ex sour beer! I secondi acacia e ciliegio selvatico, utilizzati dai Bottai Cione per barili a tostatura forte. “Ma in futuro il piano è utilizzare le classiche botti ex bourbon e sherry”, anticipa Ago. La prima release sarà con tutta probabilità nel 2024 e sarà “one shot”, poi arriverà un core range. Nel frattempo, per chi non volesse aspettare e correre il rischio di rimanere senza, c’è il programma “Founders”, con cui si può comprare una botte o una quota di botte: “Ne sono state vendute già tre, una a un gruppo di coscritti: è una cosa che li unisce e li terrà uniti”.
E ora, concluso il verboso resoconto di quanto visto, è tempo di assaggiare le sei versioni del New Make.
Originale, 45%, etichetta rossa
Il new make come esce dall’alambicco, trasparente e basico. N: i lieviti della birra si sentono, c’è ovviamente frutta (pera, mela) e un senso di impasto di pane. Col tempo anche un filo erbaceo. P: l’attacco è pungente, spicca una nota di liquirizia Haribo, poi ovviamente pera e un filo di ciliegia, si fa tutto più morbido. F: più amarognolo, liquirizia, un’idea di boero.
L’impatto della frutta è meno dirompente rispetto al new make dello Scotch. Un filo scorbutico, ha bisogno di tempo per quietarsi.
Levante, 40%, “macerato con spezie mediterranee”, etichetta gialla
Si entra nel mondo degli aromatizzati. Le spezie sono macerate in giare di terracotta, il colore è paglierino tenue. N: erbe aromatiche a bizzeffe, rosmarino, origano e timo profumato. Anche fieno e un filo di zafferano. Ha qualcosa di balsamico e polveroso, che ricorda certe pastiglie Leone. P: più accessibile dell’Originale, ancora molto rosmarino ma le erbe virano a menta e liquirizia. Cardamomo. F: piccantino, erbaceo e lungo.
Decisamente sorprendente, molto incentrato sulle erbe aromatiche e super interessante in miscelazione. Per quanto anche liscio non sia per nulla male.
Cascadian, 40%, “con quintessenza di profumatissimo luppolo”, etichetta verde scura
Luppolo infuso, che dona un colore verdino. N: assai profumato, ricorda davvero certe Session IPA. Molto fresco, verde: pompelmo, insalata iceberg croccante. Intenso. P: c’è la liquirizia dell’Originale, evidentemente marchio di fabbrica, ma con un guizzo erbaceo e sapido in più. Cioccolato amaro? Il luppolo qui è meno evidente. F: erbe amare, assenzio e genziana.
A un naso davvero intrigante fa seguito un palato più standard. Il finale è eupeptico, che come canta Elio “significa che ti fa digerire”.
Capparis, 35%, “macerato con capperi di Pantelleria”, etichetta verde chiara
Il più ardito della gamma, ma anche quello con la gradazione più bassa. N: timido, sembra l’Originale ma meno espressivo. Pian piano si riconosce un senso verde e vegetale, quasi di cetrioli in salamoia. Anche balsamico. P: qui invece arriva l’effetto “wow”: è intensamente salato, all’inizio sembrano alghe ma poi esplodono i capperi, inconfondibili e dominanti. Sul fondo ancora liquirizia. F: capperi dolci e liquirizia salata, o forse è il contrario. I capperi a dire il vero sembrano quasi bruciati.
Singolare e pionieristico. La scelta del grado più basso penalizza un po’ l’olfatto, ma facilita la beva. In drink che ammiccano al salato funziona a meraviglia. Il più gastronomico della compagnia.
Torbato, 45%, “con malti scozzesi essiccati con fumo di torba”, etichetta viola
La pecora nera della famiglia, sia perché è l’unico prodotto con malti scozzesi e non italiani, sia perché è l’unico torbato. Ma come l’Originale non è in alcun modo aromatizzato. N: sarà la suggestione, ma il fumo rende tutto più interessante e salato. Sembra quasi un new make di Islay, con note di pinzimonio e limone oltre la dolcezza di base. P: dolcezza, fumo piccante, corpo oleoso. Senza dubbio il migliore, ma noi siamo di parte perché ci piace lo Scotch. Mela verde, sedano bruciato e sale. Sgarbato ma di carattere. F: fumo verde, zucchero liquido e kiwi salato.
Un bel new make, intenso e cazzuto. Non per rubare il lavoro ai bartender, ma al posto del mezcal per esempio può dare gioia.
Füm, 40%, “con malti italiani affumicati e invecchiato con schegge di ciliegio e acacia”, etichetta arancione
Qui siamo nel territorio della sperimentazione pura, con malto tipo Rauch bier e maturazione con trucioli di legno che danno uno spirito color rame chiaro. N: ammettiamo che le aspettative erano basse, ma non è sgradevole. Simile all’originale, ma con in più un tocco di legno e di materia organica. Caramello, noci pecan e un tocco quasi “sporco”, tra la cantina e i mangimi. La birra Rauch è effettivamente la cosa più simile che ci viene in mente. P: liquirizia di nuovo, caramello, frutta secca tostata e noccioli di pesca. Pane e pan di spezie, entrambi bruciati. F: un vago legno affumicato, mandorla.
Il più complesso, e d’altronde il legno si usa proprio per quello. Speziato e tostato, temevamo il pasticcio, invece si fa bere. E in un Old Fashioned può dire la sua.
Nel complesso, due cose si possono dire. L’idea è affascinante, ha quel punto di originalità e di sicuro la competenza di base c’è, sia per quanto riguarda la fermentazione, sia per quanto riguarda la distillazione (Marco ha lavorato in una distilleria in Svizzera). Aspettiamo con grande curiosità il whisky che verrà.
Sull’idea di imbottigliare il New Make, invece, abbiamo sentimenti contrastanti. Da un lato c’è ammirazione per il coraggio e anche sincero apprezzamento per alcune versioni, che senza dubbio sono interessanti in mixology. Dall’altro però nutriamo qualche remora sull’accoglienza. Ci spieghiamo: il new make di malto è un prodotto pressoché inesistente, e non solo in Italia. Nonostante la massima attenzione al cereale, la distillazione con colonna difficilmente riesce a rendere a pieno la qualità della materia prima. Ago ha lasciato intendere che si potrebbe anche lavorare utilizzando solo alcuni piatti di rettifica, creando uno spirito più sofisticato, ma insomma la sfida è davvero ardua. In questo contesto, resta da capire quanti saranno abbastanza aperti di mente e di palato per gettarsi in questa esperienza e per creare drink con un distillato così innovativo. Noi facciamo il tifo perché la rivoluzione proceda e travolga ogni pregiudizio.
Sottofondo musicale consigliato: Francesco Guccini – La locomotiva
2 thoughts on “Botti da Orbi: “Strada ferrata”, ovvero whisky brianzoli e dove trovarli”
Vogliono 30 euro per una visita in distilleria con degustazione (una boccia di talisker 10 anni, olè)
Una boccia di New make costa come una di springbank 10 anni (olè al cubo)
500 euro per una compartecipazione in un whisky 3yo (olèissimo)
Però i loghi sono fighi e l’azienda ti si linka anche quando apri YouP…
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