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Chorlton ‘Nouvelle vague’ vol. 1

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Il nostro insostituibile amico Corrado, un monumento alla bonomia e alla competenza sul whisky con la passione per l’accumulo seriale di bottiglie, ha fondato un gruppo su Facebook che riunisce i fan dell’imbottigliatore indipendente Chorlton. Siccome non è un collezionista egoista, ma l’essenza della magnanimità, ha pensato di condividere le bottiglie della nuova serie di imbottigliamenti di David. Il quale, dopo aver deliziato mezzo mondo con la serie di etichette dedicate ai presagi e ai miracoli del “Book of miracles” medievale, ora ci conduce per mano nel giardino delle delizie. Infatti, dopo le piaghe medievali ora è la volta di immagini tratte dalla versione europea di una guida araba rinascimentale per una vita sana, il Tacuinum Sanitatis. Il manoscritto, attraverso i secoli, ha subito qualche modifica e oggi sulle bottiglie si stagliano immagini di frutteti idilliaci in cui dame e bardi flirtano felici guardando maturare le nespole. L’idea di David era dare un’idea di vita sana e felice proprio durante la pandemia. Per la prossima serie invece utilizzerà immagini del Ventesimo secolo.

Croftengea 13 yo (2007/2020, Chorlton, 53,9%)
A sorpresa iniziamo con un torbatino. Da Loch Lomond un hogshead da 231 bottiglie. In etichetta due venditori ambulanti di Piazza Duomo raccolgono le castagne matte e fanno le caldarroste farlocche per turlupinare i turisti. Ma i turisti non ci sono e gli ambulanti vengono presi in castagna. Ah. N: subito c’è quel senso di new make buono che spesso ci cattura, ovvero il cereale crudo nella sua nuda purezza. Sembra subito anche cremoso e con una nota avvolgente di banana milkshake. Nel complesso sembra più giovane dei suoi 13 anni, perché le note che mettiamo insieme non mentono: fieno trinciato, cedro candito, lievito, pera e caramella Rossana. Col tempo emerge una deliziosa sensazione di tiglio, in generale di tisana affumicata. Perché sì, c’è un po’ di torba qui, ma inizialmente non si direbbe. Con acqua si fa più agrumato, come limonata. P: invece qui eccola spuntare chiaramente: una torba curiosamente salata ed erbacea, con un sorprendente tocco di salamoia. Per il resto è piuttosto basico e ancora giovane, con una dolcezza innocente di caramelle alla frutta. Difficile distinguerla, ma vediamo tutto giallo: banana, mela, limone. Ad ogni modo è frutta processata. Il cereale torbato è coerente col naso. Il corpo è oleoso ma in generale non è per nulla grasso come spesso sembrano i Loch Lomond. L’alcol è un po’ piccante. F: medio lungo, semplice, zucchero vanigliato, corn flakes affumicati e torbetta leggera su un tappeto di pera.
Non spiacevole e oggettivamente eterodosso, con una leggerezza inaspettata. Fra i sette è il meno evoluto e forse il meno profondo, ma è una bevuta spensierata e lieve, senza essere superficiale. Non è indimenticabile, ma si fa bere alla grande. 84/100.

Speyside blended malt 22 yo (1997/2020, Chorlton, 55,4%)
Proseguiamo con un Kininvie teaspooned con una distilleria dello stesso gruppo che non è Glenfiddich e inizia per B, che avrebbe dovuto chiamarsi Alduinie ma che infine si chiamò Speyside blended malt. Dall’hogshead sono uscite 133 bottiglie, in etichetta un malintenzionato cerca di circuire una delle damine che stanno cogliendo rose nel giardino, cantandole le proprietà miracolose del concime organico sui bulbi. N: bomba di frutta (pesca, prugna gialla, melone giallo), poi minerale con un che di ciottoli. Curioso. Poi emerge una nota più ovvia di miele delicato, fiori d’arancio e pesca a vagonate, in crescita col tempo. L’agrume è maturo e succoso, limone di Amalfi ma anche biscotto al limone. Col tempo si complica, con una freschezza di vetiver leggera e un’aria di candela. P: l’apicoltura in un bicchiere: favo di miele stillante, cera d’api. Ma il tutto con un rigore e una severità mirabile, tant’è che subito si vira sul secco e sull’acido. La frutta è concentrata ed essiccata, ananas e mela golden, ma anche bucce di pompelmo. Un bel kick di spezie, col pepe bianco in cima. Meno esile del previsto, con un corpo interessante che austero, secco, con mandorla e fieno/erbe secche. F: un’immagine su tutte: biscotto secco al miele. Che non esista in natura è un dettaglio. Pulitissimo, medio lungo, chips di mela e pepe/zenzero.
Naso delicato e palato gagliardamente secco, perché attorno alla frutta gialla e al miele si agita vivace un malto mai troppo dolce e una spezia del legno mai astringente. 88/100.

Glenlossie 27 yo (1992/2020, Chorlton, 51,2%)
Passiamo al più vecchio della cumpa, ma Glenlossie si sa che è gioiellino fragile e merita di arrivare prima di torbati e sherried. Hogshead da 170 bottiglie, in etichetta il sosia di Dante pota le gardenie dopo aver scritto il canto XIII su Pier delle Vigne (abbiamo fatto un liceo, oh, lasciate che ce la tiriamo). David ci avvisa di aggiungere acqua e dargli tempo, nonostante la bassa gradazione. N: abbiamo capito perché: è molto sottile e un filo chiuso. La prima nota sono arachidi, nocciole e albicocche secche, a dare idea di oleosità. Che oltre la frutta secca prende anche la via dell’olio essenziale di cedro. Si respira comunque un’atmosfera agé di salotto vecchio, con della lavanda nei cuscini, a testimoniare un tocco floreale. Pera e torta di pere, ma emerge qualcosa di croccante e acidello che ricorda la carambola, la mela granny e la gelatina di arancia. Marmellata di arancia amara. Accanto, una dimensione vegetale di foglia, tra il tabacco e il té bianco. Pian piano emerge legno lucidato. P: affilato e acido, a proseguire quella sensazione che al naso avevamo definito “carambola” e che qui vogliamo inscrivere nel marmo con l’epigrafe “albicocca salata”. Ora kiwi giallo in tutto e per tutto. Coerente la dimensione oleosa, ancora olii essenziali di agrumi e frutta secca (albicocca secca). E ancora più netta la sensazione di esteri e verdura fermentata e quasi sottaceto. Prende addirittura un accento minerale, che però è contrastato da un legno di cedro qui più evidente. In generale è un palato composito e molto amalgamato, che riesce ad essere vivace rimanendo in punta di piedi. Cosa voglia dire non sapremmo spiegarlo con certezza, diciamo che dà l’idea di essere ancora vivo e vibrante, ma nessuna nota spicca sulle altre. Nella discrezione, ecco spuntare un retrogusto erbaceo e di terra umida. Con acqua si enfatizza la psca/albicocca. F: monolitico: stessa oleosità, stessa acidità salatina, stessa presenza paterna del legno. Lunghino.
Difficile e teso, non è un whisky immediato. Prima di tutto perché il profilo del distillato è già complesso di suo, figuriamoci dopo 27anni. Secondariamente perché la sensazione globale è molto impastata, come un colore di cui non si riconoscono più distintamente le componenti cromatiche. Delicato e ficcante insieme, votarlo è un rebus: 89/100.

Bunnahabhain 18 yo (2002/2020, Chorlton, 53,4%)
Refill sherry butt da 322 bottiglie, su cui si staglia l’immagine di una mamma che porta un bimbo con i capelli a upupa a raccogliere un cesto di fiori di rara bruttezza. N: cara Lindt, perché non produrre un bel cioccolatino allo zolfo? Lo sherry è sicuramente marcante, con una dimensione “sporchina” che parte dal cioccolato e arriva a lambire la paprika e il sugo d’arrosto. La dimensione fruttata è sulla ciliegia nera, ipermatura e spiaccicata, con anche arancia rossa aromatica. Col tempo emergono anche ricordi d’infanzia: le scarpe di cuoio del papà. Il mare è arginato non da uno scoglio come nella canzone di Battisti, ma dallo sherry. Però la sapidità spunta lo stesso. Un senso di carruba e di dunnage a chiudere. P: lo zolfo se ne va come il diavolo quando sparisce dai fumetti. Ma rimane il cioccolato, anzi salsa di cioccolato con caramello fuso a iosa e fiocchi di sale. Palato golosone da snack: croccante alle arachidi, Mars, frutta secca dolce. A proposito, si fa ampia la nota di marmellata rappresa di albicocche e torta Sacher, con contorno di fichi secchi. Perfino un accenno di pasticceria orientale e pane corso con l’uvetta. Accanto, restano le note meno piacione: il cuoio c’è ancora, ma dalle scarpe si passa al divano di pelle (meno sporco, più elegante), il legno si fa tannico, con delle foglie di tabacco qui e là. Molto scuro e profondo, con ancora uvetta al forno. F: molto lungo, su cioccolato extra fondente e ancora quel tocco floreale. Oliva salata e sale in generale.
Un whisky che dà da pensare, strano. Unisce tratti estremamente golosi al palato con una sapidità e una gamma di note off. L’equilibrio non è semplice e a volte sembra smarrito, ma l’intensità è da peso massimo. 88/100.

Sottofondo musicale consigliato: Angelo Branduardi – Scarborough fair.

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5 thoughts on “Chorlton ‘Nouvelle vague’ vol. 1

  1. Il Glenlossie mi ha davvero stupito, nonostante reputi Chorlton uno dei migliori IB. Mi sono sentito come San paolo sulla via di Damasco, FOLGORATO! Ed esserlo da uno speyside, per un amante della torba come me, è stato davvero strano (ovviamente per non sbagliare ne ho già ordinata una bottiglia ahah).
    Come al solito fate delle bellissime recensioni e leggervi è un piacere!

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