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Lagavulin 10 yo (2019, OB, 43%)

Quest’estate Lagavulin ha lanciato un nuovo imbottigliamento esclusivo per il travel retail (cioè, te lo compri solo in aereoporto): si tratta di un 10 anni, testimone dell’amore di Lagavulin per gli invecchiamenti pari. C’è un 8, c’è il 12, c’è il 16… A questo punto nella sequenza manca un 14 anni, ce lo aspettiamo entro un paio d’anni – figurati Diageo, è stato un piacere darti questo suggerimento. Ci avviciniamo a questo Lagavulin con biforcute e contrastanti aspettative: da una parte, come fai ad essere deluso da un Laga?, dall’altra, come fai ad aspettarti qualcosa di buono dal travel retail? Sia come sia, questo è frutto del matrimonio tra barili ex-bourbon a primo e secondo riempimento e botti “newly charred and rejuvenated” – cioè legni attivi. Vediamo.

N: uh, com’è timido. Ci aggredisce immediatamente una sorprendente nota di marmellata di limone, molto profumata. Ci sono poi barrette di cereali (quelle che ti rimanevano appiccicate ai denti a scuola), forse con un po’ di cioccolato. Note di clorofilla, anzi: di cicche alla clorofilla, cioè una clorofilla zuccherata e un po’ mentolata, per essere meno evocativi. Dopo un po’, la torba che all’inizio appariva in disparte si fa strada tra i sentori, e arriva, Lagavulinosa, grassa e piacevolmente fumosa, con qualche sentore bello marino e iodato.

P: non ce n’è, Lagavulin non lo abbatti manco se ti sforzi. Qui l’ingresso è un po’ acquoso, la diluizione è massiccia e azzopperebbe ogni whisky… ma non Lagavulin. Dopo il primo sconcerto, esplode sia la parte dolce (forse un po’ eccessiva) tutta su miele e ancora barrette ai cereali; sia quella mentolata e balsamica, con Vicks Vaporub; sia quella torbata, fumosa, acre e cerealosa. Una sola punta di sapidità, senza mai essere troppo marino.

F: perdura il cereale affumicato, molto a lungo. Mele cotte, frutta secca.

Parliamo chiaramente: non è il migliore dei Lagavulin possibili, patisce un po’ di ruffianeria e di eccessiva facilità, soprattutto al palato, ma è un ottimo entry level – certo, costa più o meno quanto il 16 anni (poco più di 50€), ma pur sempre la metà del 12, no? Davvero, la considerazione è sempre la stessa, fatta mille altre volte: ci sono distillati che resistono a ogni avversità, e quello di Lagavulin, si sa, è parte del gruppo. 86/100. Insomma, la prossima volta che tornate da un viaggio e vi siete dimenticati di prendere un souvenir per quel vostro amico che colleziona magneti da frigo, ecco, prendetevi un Laga 10 e beveteci su. Grazie davvero a Egidio per il sample.

Sottofondo musicale consigliato: Pearl Jam – Angel.

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6 thoughts on “Lagavulin 10 yo (2019, OB, 43%)

  1. Dopo aver sbavato sul precedente Clynelish Single Cask ‘Pork & Plum Terrine’, chiedo: ma davvero “come fai ad aspettarti qualcosa di buono dal travel retail?”

  2. Ah quindi voi non rispondete ai commenti. Bene, avete un blog su internet con i commenti aperti ma non rispondete.
    Peccato, il bello di questi spazi è proprio la possibilità di dialogare con gli autori, possibilità che a volte genera conversazioni più interessanti dell’articolo stesso.
    La vostra affermazione sul travel retail, per dire, poteva essere interessante da approfondire, magari con qualche argomentazione, ma se non rispondete ai commenti amen.
    A sto punto disattivateli, sti commenti.

    1. Ciao,
      ci siamo persi il tuo commento, ti preghiamo di scusarci,
      Nel merito ci pare che non ci sia molto da aggiungere, visto che sei d’accordo con noi sul fatto che spesso i travel retail non spicchino per qualità e ormai nemmeno più per convenienza.

      Questra distilleria però ci ha abituato al fatto che è davvero difficile poter assaggiare un Lagavulin cattivo e questo 10 anni conferma la regola aurea, pur essendo un travel retail.

  3. In realtà io non ho espresso nessun giudizio sul mercato travel retail. Anzi, semplicemente, a seguito della vostra affermazione, chiedevo se fosse davvero così (anche perché ho sempre sentito parlar bene delle edizioni “esclusive to travellers”).
    Probabilmente potevo esprimermi meglio, meno frettolosamente, ma mi sembra palese che la domanda fosse: “ah sì, e per quale motivo è difficile aspettarsi qualcosa di buono dal travel retail?”.
    Comunque a posto, non voglio farne una questione. Forse se vi avessi scritto su Facebook questa noiosa e spiacevole diatriba non sarebbe mai nata, ho visto che lì rispondete.

  4. Ogni volta che sento parlare (o leggo) di “entry level” per un whisky, metto mano alla pistola: ogni whisky ha il suo momento e si può cominciare, come me, con un Laga 12; mesi dopo passare a un Ardbeg Ten, e poi –dopo anni – trovare il modo di godersi un Dalwhinnie 15, senza sentirsi un noob.

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