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La scimmia pensa, la scimmia beve: un tasting segretissimo

Il gran visir dei primati etilisti in un’immagine di repertorio

Più potente della Spectre, più ramificato della P2, più elitario di Azione (solo che il leader maximo qui è più simpatico di Calenda): tutto questo è il Monkey Whisky Club, che da qualche anno a Milano organizza degustazioni, eventi, festicciole, sabba con sacrifici umani e quant’altro possa radunare allo stesso tavolo personaggi oscuri con la passione per il whisky.
Gran sacerdote del culto occulto tutto maschere, grafica sopraffina e sete smodata è Andrea Serati, il cui senso per il single malt è pari solo a quello per il groove del suo basso. Presso la sua augusta magione qualche settimana fa tanti adepti della scimmia si sono trovati per darci dentro con il succo distillato di orzo.
Ecco cosa si è bevuto.

North Highlands Clynelish 12 yo (1993/2006, Cadenhead’s, 46%)
Il fratellino piccolo di quel che abbiamo già assaggiato tempo fa. 630 le bottiglie prodotte. C: vino bianco quasi trasparente. N: si apre sporchino, affascinante nelle sue screziature. Sotto la lana bagnata, niente: una nudità attraente, fatta di mineralità, limone, smalti vari. La frutta è asprigna e croccante: mela verde e carambola. Su tutto si posa una incantevole polverina che è stupefacente ma è solo zucchero a velo. Esemplare dello stile “highlands settentrionali”. P: pieno e severo, dritto come un fuso e ancora sporchino, il che non accoglie a braccia aperte i neofiti ma fa sciogliere di piacere i vecchi epicurei amanti di Clynelish. Note acide ancora, ma senza esagerazioni (ancora limone e carambola), ma a vincere sono le note di alambicco, di chicco d’orzo. Le sfumature eterodosse sono di ciottoli, di cormorani incatramati salvati da Greenpeace sulla spiaggia, di freni al carbonio… Il corpo è magnificamente oleoso e in fondo si staglia un’aria fresca e verde, di tisana di tiglio. F: secco, limonoso e rocciosetto, nel senso di sali minerali e sassi.
Un nudo d’autore, da 88/100. Non un whisky per neofiti, perché il malto non è pulito, il barile non è attivo, l’esperienza è più intellettuale che non sensuale. Però noi siamo dei pervertiti del whisky delle Highlands e dunque diamo voto altissimo.

Arran Brodick Bay 20 yo (2018, OB, 49.8%)
Dietro questa bottiglia ci sono due storie. La prima è generale: è il primo imbottigliamento della serie Explorer Series che Arran – isola molto turistica – ha dedicato alle bellezze paesaggistiche locali. Nella fattispecie un mix di botti quarter cask ex Oloroso ed ex bourbon di 20 anni. La seconda storia è particolare: anni fa il nostro Andrea chiese un consiglio ad uno di noi di cui non faremo il nome, perchè cercava una bottiglia su cui investire per poi rivenderla una volta avesse preso valore. Gli fu senza dubbio indicato questo Brodick Bay. Il quale non è diventato esattamente un nuovo Brora. Oddio, il suo valore è un po’ cresciuto, ma come investimento non è stato granché. Sicché tra recriminazioni e sfottò è stato aperto. Vediamo com’è. C: ambra. N: un tripudio di frutte, tantissime pesche, parecchie albicocche e pure mandarino. Fresco, aperto e piacevole, si fa più “rosso” col tempo: ora anche mele di Biancaneve e melone, fragoline di bosco, perfino del maracuja e della papaya. Insomma, il mix di botti, unito al carattere fruttato del malto di Arran, regala un naso molto divertente e piacevole. Note di sandalo qui e là. P: più legnosetto e trattenuto, anche se l’audience individua subito una caratteristica: la “frizzanza”, parente della “luccicanza” di Shining, evidentemente. Alla frutta del naso, qui si somma il mango, ma la frutta non è più unica protagonista. Si aggiungono note più tipicamente di sherry, come il panettone, il caramello, una certa astringenza vinosa e qualcosa di canditi di arancia. Caramella Rossana e una sensazione lattica, che ricorda i succhi tropicali con aggiunta di latte di una nota marca. Con acqua si fa più secco, cresce l’aranciata amara. F: uvetta, mandorla tostata e liquirizia. Legnosetto e golosino.
Il naso è una festa ortofrutticola entusiasmante, il palato è molto più ordinario e non così emozionante. Ci sta, l’uso non troppo timido delle botti doveva necessariamente esigere un tributo in termini di minore freschezza in bocca. In complesso un whisky piacevole, in cui l’apporto del distillato è abbastanza percepibile nonostante la maturazione. Un 86/100 che sa di congressi Dc, moderazione e compromesso.

No Name (2017, Compass Box, 48.9%)
Whisky oscuro come un’organizzazione segreta dedita al vizio, questo imbottigliamento è il primo dei diversi batch che Compass Box ha dedicato a blended malt torbati. Si vocifera che dentro vi siano Caol Ila, Ardbeg e Clynelish. Ne sono state prodotte 15mila bottiglie, quindi un’edizione limitata-ma-non-troppo. C: paglierino. N: subito profuma di Marsiglia. Non intesa come la città mediterranea dove Izzo ambienta i suoi romanzi e dove la microcriminalità assalta le Golf dei poveri Facili in vacanza. No, sa di sapone di Marsiglia e felci, a cui si sommano subito anche sorbetto al pompelmo e tonnellate di anice. La freschezza fatta naso. Completa il panorama un fumo freddo che avvolge una torta paradiso. La dicotomia torba e dolcezza ricorda anche i confetti alla sigaretta, gusto troppo spesso snobbato da chi prepara le bomboniere. Un’aria costiera di acqua salata, striata di suggestioni vegetali (malva, verbena), dona un’ulteriore complessità. La vaniglia abbraccia tutto. P: acidello e piccante, come dello zenzero bruciato su un falò e poi sgranocchiato. Le note bruciatine si evolvono e prendono piede, si fa più aggressivo con il tempo. Pasta di ciambelle cruda, orzo torbato. Un blended malt isolano, in cui i malti di Islay sovrastano Clynelish. Limone ancora, parte erbacea in regressione. F: limonata zuccherata, mela verde e una torba acre e salata.
Ottimo ma anche sgarbato, fa il lavoro a cui è chiamato, ossia quello del torbato giovane ma non piatto. Nel suo genere è da manuale, la freschezza è sicuramente un plus. Non il più complesso del creato: 87/100.

Tullibardine 15 yo single cask for 15th anniversary Bresser & Timmer (1993/2008, OB, 55.1%)
Con che criterio si può arrivare a fine serata a bere un single cask di Tullibardine (precisamente il PX hogshead #15083( realizzato per il 15esimo anniversario di un grossista di alcolici olandese? Ma ovviamente nessuno. Tutto a caso come il destino. Eppure abbiamo aperto una delle 332 bottiglie. C: mogano rossastro. N: un aroma di croissant integrali ai frutti rossi si alza dal bicchiere, insieme a note di pere cotte nel vino, con tanto di cannella e chiodi di garofano. Il PX non si nasconde, sfoggia tutte le sue note più caratteristiche, dal cioccolato fondente polveroso al tabacco scaldato, dal cuoio al té iper-infuso. Pane ai semi di papavero, boeri. Un naso scuro e non troppo succoso. P: eh, come spesso accade con gli invecchiamenti in Pedro Ximenez, bisogna averci il pallino per amarli. Legnoso e piccante, con uno sherry invadente che porta sensazioni di crostata ai frutti rossi, valanghe di uvetta e datteri, panettone bruciacchiato. Molto vinoso, molto ciliegioso, denso e non agile. F: marmellata di frutti rossi, cioccolato. Dolciastro e avviluppante.
Comprendiamo che è il suo carattere, che doveva e voleva essere così, per cui non ci accaniamo oltre un 85/100. Epperò segnaliamo che berlo è come andare in montagna con lo zaino pieno, con un figlio in spalla e un cane in braccio: è faticoso. Peso specifico alto, difficoltà di beva, davvero un dram invernale e festivo. C’è da dire però che l’alcol è perfettamente integrato.

Sottofondo musicale consigliato: Beastie Boys – Brass monkey

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