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Botti da orbi: Cadenhead’s folie

Il bello di vivere a Milano e di fatturare giusto qualche euro meno di Elon Musk è che spesso l’appassionato di whisky si ritrova ad accatastare bottiglie in spazi architettonici non progettati esattamente per quello. Così, con quella spavalderia da scopritore di nuovi mondi, ti capita di metterle prima su una mensola. Poi di colonizzare una Billy dell’Ikea. Poi di infiltrare alcune bocce tra i Meridiani Mondadori, giusto davanti agli Einaudi. E in men che non si dica, come i russi in Crimea, le bottiglie hanno invaso ogni angolo del soggiorno. Tutto questo finché la parte sana della famiglia, l’Onu sotto mentite e ben più bellicose spoglie, non ti dice che forse stai esagerando e che se non la pianti ti sbatte fuori di casa. E allora mestamente le bottiglie arretrano.
E’ precisamente in questo momento che ti viene voglia di riassaggiare tutte quelle rimaste un po’ aperte. Non assaggiarle e basta, quello l’hai già fatto ottantordici volte e infatti sono quasi vuote. No, ti viene voglia di assaggiarle tutte in fila, magari recensirle, perché ehi! Hai una fila di bottiglie e non le hai mai recensite, mentre passi il tempo a scrivere di single malt danesi invecchiati in zaini Invicta che avevano precedentemente contenuto mangime per cormorani.
Tutta questa premessa di rara lucidità per dire che l’estensore di questa rubrica ha messo in fila un plotone di imbottigliamenti Cadenhead’s variamente reperiti, comprati e taccheggiati, li ha uniti a svariati campioni giacenti negli angoli e ora li beve tutti in fila, ma responsabilmente. Perfino il “Folle dei libri” che sta appeso giusto sopra la scrivania sembra guardare la scena con riprovazione…

Arran 22 yo Authentic Collection (1996/2019, Cadenhead’s, 49.6%)
Hogshead da 276 bottiglie. C: oro carico. N: un ricco proprietario terriero caraibico con una magione arredata con manghi, papaya, cesti di frutta esotica. Opulento. Il paffuto signore si aggira lasciando una scia di dopobarba al sandalo. Le sue domestiche vagano per la casa raccogliendo la frutta per preparare crostate, banana bread, banoffee pie, gelati cremosi e tropicali. Tutto parla di godimento. Nella libreria, fra vecchi volumi, qualcuno sbocconcella un gianduiotto. Cazzo ci faccia un gianduiotto in una casa coloniale caraibica nessuno lo sa. P: questo signorotto non solo è ricco, ma anche grasso, sa di burro dell’impasto della cheesecake. Si presenta ed è immediatamente dolce, modi vinosi e ampi, tutto è tanto. Tanta è la frutta (mango, pesca, mela, ananas sciroppato), tanti gli shortbread di cui ha piene le tasche. A metà palato, il ricco latifondista si siede in una stanza circondata dalla boiserie, arrotola le foglie di tabacco e ordina un toast ai cereali cosparso di zucchero bruciato. Non contento, chiede anche delle mandorle tostate, mentre una candela brucia, lievemente sulfurea. Come molti signorotti sovrappeso, non nuota bene, l’acqua lo guasta. F: il suo regno su queste terre speziate e lievemente floreali è lungo, la sua impronta oleosa. Da lontano si gode un’eco di caffè dalla piantagione.
Detto della sua grande ricchezza, dei suoi gusti eclettici e complessi, occorre dire che il Señor Arran è un latifondista di cuore, davvero molto buono. Personalità multiforme, non sembra neppure di origine isolana. 88/100.

Bladnoch 21 yo Authentic Collection (1990/2011, Cadenhead’s, 53.5%)
Bourbon hogshead da 258 bottiglie. C: vino bianco. N: ah, la nobile arte della fermentazione… Si apre con note esagerate di malting floor, cereale, fissione nucleare di pera. Sa di distilleria, porta con sé i Lari del focolare che arde sotto gli alambicchi. Alle pere si accostano note di mele e grappa di Moscato invecchiata, ma anche qualcosa di frutta tropicale acidina, tra la granadilla e il maracuja. Anzi, succo tropicale con il latte. Un trattatello sulla mistica della chimica, in cui gli elementi reagiscono e danno vita a acidi, esteri, basi. E poi ci sono poi legno fresco e una dimensione vegetale tra l’aloe e i fiori freschi. “Da chimico un giorno avevo il potere/ di sposar gli elementi e farli reagire”, cantava De Andrè. Con acqua si fa molto meno interessante. P: e poi, improvvisamente, l’esperimento riesce, l’Eureka risuona e Archimede esce dalla vasca bagnato ma felice! Un gran bel mix di frutta e legno si sprigiona al primo sorso. “Croccante e concreto”, dicemmo una volta. Questo è croccante e frivolo, che non è per forza un difetto. Pesca noce, succo di pera e zenzero si fondono con malto e legno incerato. Da vecchie massaie diciamo: Pronto mobili con cera d’api. Come sia possibile che dalla fermentazione spinta si sia arrivati a questo palato, fa parte dei misteri che gli umanisti non capiranno mai. Per certi versi più giovane dei suoi anni (il distillato si sente bene), per altri il legno si fa apprezzare con una sorta di OBE. Biscotti Lagaccio senza zucchero, con un tocco di anice. Con acqua qui migliora, si fa più piacevole, spunta una screziatura metallica e sporchina. F: più erbaceo, come Lowlands style vuole. Più austero, con riverberi di legno incerato.
Non un whisky per neofiti, d’altronde non è che uno la chimica la impara alla seconda lezione dopo la fermata dell’H02. Perché non è semplice districarsi tra le note vegetali, l’evoluzione costante e l’invecchiamento notevole, quasi quanto è ostico capire la differenza fra nitrati, perossidi e perclorati. Le sue imprecisioni sono le sue armi migliori, non si fa catalogare e incasellare e sa stupire. E a noi l’insolito piace (nel whisky, eh, lasciamo le parafilie estreme a Giacomo e Ansalone). 86/100.

Aberfeldy 21 yo Authentic Collection (1996/2017, Cadenhead’s, 54.6%)
Bourbon hogshead da 270 bottiglie per il 175esimo anniversario. C: vino bianco. N: ha la delicatezza di un abitino femminile a pois, con i volant ovviamente. C’è femminilità e freschezza, sussurra dolcezze di primavera e leggiadria: un pic-nic a piedi nudi in cui si sbocconcella uva bianca (che a primavera non c’è), si serve macedonia di pesca e pera, si beve Gewurtztraminer ghiacciato. E’ un naso leggero che va in altalena, etereo: il barile parla di vaniglia, miele di tiglio e zucchero a velo. Il malto invece, fieramente Highlands e dunque piuttosto minerale, è soffuso di note di stireria, di zest di limone. Scene idilliache di amori campestri, in una rara giornata di tiepido sole scozzese. Impeccabile quadretto di serenità. P: la leggerezza va bene per un po’, poi o sfiorisce o si eleva ad entusiasmo. Ed è qui che sfavilla un palato di frutta gialla pimpante, con pompelmo, mela golden e anche ananas, anche se non di quelli iper-maturi. Più polposo che succoso, è ancor più solido che al naso, come dopo l’infatuazione arriva il sentimento. Qui il legno funziona da amplificatore della realtà oltre l’improptu, mette un punto e a capo, trasforma il pic-nic in un deciso amore corrisposto. Mandorla, bucce di mela, nocciole oleose. Dopo gli scherzi, ci si guarda negli occhi. La situazione si fa seriosa, si concede alcuni svolazzi nelle zone del propoli e del limone. Non sarà complessissimo, ma che piccola meraviglia di cose al loro esatto posto. F: pulitissimo, erica e legno, medio-lungo come un sano matrimonio ben riuscito.
C’è un senso di educazione e compostezza quasi commovente, fa venire voglia di berlo e mandare una mail per ringraziare la distilleria per la gentilezza. Un whisky che tocca le corde più pure dell’anima, per chi preferisce l’eleganza alla pesantezza, per chi non cerca per forza l’heavy metal e i peccati sordidi ma sa godersi anche Listz, Chopin e le camminate mano nella mano senza pretese. Aritmeticamente perfetto, di una precisione sensoriale rara: 89/100.

Glenlivet Minmore 19 yo Authentic Collection (1988/2008, Cadenhead’s, 56.7%)
Port hogshead da 269 bottiglie. C: oro. N: dietro liceo davanti museo è la versione pop del Ritratto di Dorian Gray, romanzo simbolo della dualità di ogni essere umano. E di tanti whisky, come questo. Il naso è un mix di orrori e delizie, tutte in tonalità rossastre, come un quadro di Rothko. Ci sono arance rosse intensissime, mature e dense come sangue, vinacce rosse passite, prugne nere che indugiano verso la marcescenza, botti dimenticate che trasudano porto e malessere. La decadenza di una natura morta, i segni del tempo che passa, il rancido che avanza. Su tutto questa pesantezza si staglia però una vivacità fruttata guizzante e inaspettata, come un fremito che si ribella al tramonto degli aromi. Marmellata di prugne, tamarindo, un’acidità di cognac. Extinction rebellion in nome del tamarindo. P: ma si sa, la nostra parte peggiore spesso prende il sopravvento, e anche qui la resistenza della piacevolezza ha vita breve. In bocca l’assalto del legno è letale, a mazzate di astringenza, cuoio ed erbe amare lascia soltanto un tappeto di cose bruciate e piccantezza. Chili, cacao amaro, buccia di chinotto, pessimismo e fastidio. La secchezza senza pietà apre la strada a caramello bruciato, radici, bucce di arachidi. Non c’è speranza, nemmeno l’acqua porta salvezza, anzi sfascia tutto. F: l’amarezza si espande, ma improvvisamente, poiché di nuovo tutto ha un lato più luminoso, nell’amarezza si ritrova un ordine oleoso del mondo, in cui non c’è spazio per la dolcezza, tutto è frutta secca, chinotto e rammarico.
Intimamente scisso, vittima dell’eterna lotta fra bene e male, Milan e Inter, peccato e santità. Il barile di porto è un po’ come la quotidianità: può succedere prima o può succedere poi, comunque qualche disastro succede. E così all’interessante intensità amplificata del naso, tra la vita e la morte, succede un palato rassegnato, esausto di legno e carico di angustie, che uccide la gradevolezza. Come diceva Bartleby lo scrivano: preferirei di no. 80/100.

Pulteney 14 yo Authentic Collection (2006/2020, Cadenhead’s, 55.4%)
Bourbon hogshead da 294 bottiglie. C: vino bianco. N: ci sono fiabe tedesche – quelle dei fratelli Grimm, per esempio – che fin dall’incipit ti rapiscono, costruiscono intrighi e paesaggi intriganti e ti si conficcano nella memoria per sempre. C’era una volta una casetta in riva al mare, in cui viveva una famiglia. Era gente austera, fieri lavoratori, madre pastorella, padre falegname, e dunque ovunque aleggiavano aromi industriosi, di segheria e lana bagnata. La casetta era tutta intrisa di salsedine e le pareti di gesso si scrostavano spesso, rilasciando nell’aria sbuffi minerali. In quella casetta passò la sua infanzia la piccola di famiglia, una bimbetta intelligente sempre impiastricciata di zucchero a velo vanigliato, che vendeva succo di limone e mele essiccate ai passanti. Così, mentre in cucina si spandeva odore di sottaceti, lei se ne stava fuori, seduta su una panchina coperta di polvere e fuliggine, guardando il mare e succhiando caramelle Valda. P: nonostante la casa non fosse esattamente un paradiso, così fredda e spoglia, la bambina crebbe educata, sempre molto pulita. Poche moine, giusto un sorrisetto la mattina, davanti ai cereali glassati. Per il resto una bambina obbediente e curiosissima, pronta a fare i lavori domestici togliendo la polvere sui mobili, passando zenzero e cardamomo alla mamma ai fornelli. Senza mai dimenticare quel suo passatempo: la limonata con un pizzico di sale, che la rendeva così deliziosa. Poi, un giorno, la bimba si svegliò con un po’ di fuliggine sul naso. Andò a sciacquarsi, ma quelle gocce d’acqua fecero aumentare il senso di cenere, e come per magia comparve della liquirizia. F: era l’incantesimo della casa, che per ringraziare la piccola delle cure dimostrate nei lavori domestici, le diede un potere sovrannaturale: quello di tramutare la limonata in mezcal, la polvere in gesso, una bambina obbediente in una ragazzina affilata che profumava di liquirizia. E vissero tutti torbatini a grado pieno in riva al mare.
La fiaba è finita, ritorna la realtà, che se possibile è ancor più fantastica, perché racconta un whisky vero, estremo ed estremamente puro, affilato come un rasoio. E la morale, come spesso succede nelle fiabe, è che la modestia e l’autenticità sono tesori che vanno coltivati e premiati, per esempio con un 89/100 convinto che renda merito all’anima senza compromessi di questa bimba, pardon whisky.

Glenfarclas 19 yo Original Collection (1988/2007, Cadenhead’s, 46%)
Bourbon cask diluito da 306 bottiglie. C: oro. N: se il napalm di Apocalypse now odora di vittoria, di cosa saprà la felicità? Vediamo, deve avere la golosità di una crema di zabaione, la lussuria di una vasca piena di polpa di maracuja e mango, la spensieratezza di un’orzata, l’agilità di una torta all’ananas con sopra mele essiccate. Poi, perché la felicità sia totale, serve l’eleganza del legno, la sensualità del burro fuso e l’irresistibilità delle nocciole. Su queste basi, questo whisky profuma di felicità, senza dubbio. P: eh ma si fa presto ad illudersi, a volte si annusa la felicità, poi una volta addentata il gusto è amaro come la banalità dell’esistenza. Non sembra questo il caso, perché anche in bocca è un coro celestiale di godurie e soddisfazioni, immagini di pura letizia: un bambino paffuto che mangia biscotti al burro, una partita a biglie giocata con le noci di macadamia, una bachata ballata circondati di banane e mandarini, una sera di Natale a sorseggiare crema all’uovo davanti al camino tra dolcetti di marzapane. I danesi direbbero che questa è hygge, anche se la hygge non prevede pepe bianco, cassia e liquirizia. Al massimo grog, regali e abbracci davanti alle candele. F: nessuna gioia deve rimanere eccessiva a lungo, e quindi la dolcezza va scemando, le nocciole si fanno cioccolato cremino, le luci si spengono, dissolvenza, sipario.
Quando a scuola spiegavano il concetto di “astratto”, la maestra usava l’esempio della felicità, che è qualcosa di inafferrabile, che tutti conoscono ma che nessuno può definire con chiarezza. Povera maestra che non conosceva questo imbottigliamento, che in effetti racchiude in sé tutte le piccole componenti della felicità: ricco, morbido, soddisfacente, entusiasmante. Ma qui non siamo a scuola e non stiamo imparando gli aggettivi qualificativi, quindi facciamola corta: 88/100.

Glen Garioch 13 yo Authentic Collection (1993/2006, Cadenhead’s 57.6%)
Bourbon hogshead da 264 bottiglie. C: oro chiaro. N: che acidità, che brutto carattere. Arrivi e nessuno ti saluta, ti sbattono su un divanetto di iuta polveroso, un velo di fuliggine dal caminetto si adagia ovunque. E mentre sei lì, a disagio, i padroni di casa ti offrono frutta acerba, bucce di limoni, cereali crudi, mirabelle verdi. Speravamo in una migliore ospitalità. Farina di segale in un vassoio, sidro in un bicchiere, olio di lino sui mobili. Più che una casa, sembra di essere entrati in un silos. Oppure in un’officina sporca di unto. P: eppure ci stiamo quasi abituando all’ostilità, che comincia a piacerci. La vita è sacrificio, quindi godiamo della secchezza anche al palato, esaltiamo le bucce di cedro e bergamotto, la liquirizia austera, le spezie ruvide di pepe e noce moscata. Ci portano cereali, ma per fortuna non sono zuccherati. E allora ci portano radici, ma che siano amare, con rosmarino ancor più strong. Andiamo in bagno, per un goccio d’acqua, ci ritroviamo in bocca un’amarezza totale, di aranciata bitter e zenzero, con un tocco di fiori. Di cimitero, ça va sans dire. F: il congedo è secchissimo, neanche un abbraccio, giusto uno sguardo erbaceo e un addio di liquirizia.
Chi lo dice che l’ospite migliore è il più caloroso? Qui nessuno ha voglia di accoglierti, non c’è un orpello, una gentilezza, tutto è nudo, minimale e asciutto: un letto senza materasso, un arredamento rustico vecchio stile, un’amicizia diretta senza bisogno di sorrisi. E alla fine ti ci abitui, ci stai quasi bene in questa atmosfera decisa e imperfetta, eppure autentica. Non è facile, ma c’è sincerità, 84/100.

North Highland Clynelish 14 yo Original Collection (1992/2007, Cadenhead’s, 46%)
Barile diluito da 324 bottiglie. C: vino bianco. N: che simpatico questo animaletto, tutto saltellante, giocoso, si nasconde fra le felci e poi salta sul tavolino del giardino, rovesciando i bicchieri di Sprite e una zuppiera piena di cedri, lime e kiwi. La gazzosa cola ovunque, gocciola sul selciato bagnato di sassi. Sono sassi marini, si respira iodio, l’aria si fa rarefatta. Il nostro animaletto saltella ancora, fa le feste alla padrona che sta stirando e spruzzando l’amido, poi zampetta in cucina, tra cassetti chiusi da troppo tempo e matite temperate. Che poi, perché uno dovrebbe temperare le mine di grafite in cucina? Mica è Parmigiano… P: un carattere dolce/amaro, questo cucciolo. Un momento è tutto felice, frizzante e beverino come una spuma da 50 all’oratorio, e il momento dopo si fa quasi ringhiante, austero, concentrato a mangiare dalla ciotola porridge, cedro e malto. Un’alimentazione che comunque lo rende morbido, come se avesse il pelo cosparso di cera e sale. E se gli si fa un bagnetto con qualche goccia d’acqua, eccolo diventare vellutato, quasi oleoso, e tornare dolce come prima: un peluche adorabile, ma con delle macchioline di sporco qui e là. F: un guaito di media durata, una leccatina amichevole che sa di lime, zucchero e grafite. Sempre meglio di quando ti leccano dopo aver assaggiato la cacchina del cane del vicino…
Non un Clynelish col pedigree perfetto, di quelli che hanno tutti i tratti distintivi della razza. Piuttosto, un Clynelish addomesticato, inoffensivo, che però è un piacere avere in casa, perché è divertente, mette allegria. Non ti difenderà dai ladri e non te lo ricorderai per sempre, però è un buon compagno di giochi: 85/100

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