Apriamo la settimana con altri whisky che-tanto-mica-si-trovano-in-giro.

Islay blended malt 15 yo (1997/2013, Duncan Taylor, 54.4%)
L’octave 986016 ha dato 71 bottiglie, che essendo state riempite dieci anni fa oggi con tutta probabilità sono già finite da un pezzo. Qui c’è stato anche un finish in octave ex sherry. C: vino bianco. N: di sicuro è un whisky collocabile in quel braccio di mare che separa Islay da Campbeltown. C’è torba, c’è del pandoro, c’è della salamoia di olive, insomma ci sono quei contrasti della costa ovest dello Scotch che tanto ci piacciono. In particolare l’aspetto salmastro è preminente, ma la torba prende pian piano piede. Torba discretamente medicinale, con qualcosa di oleoso e di grasso. Balsamo tigre, eucalipto. Verde e fresco. P: ancor più convincente rispetto al già ottimo naso. Pieno e intenso, con un bel mouthfeel oleoso e una torba che dopo un ingresso elegante diventa esplosiva. Si apre dolce, con brioche burrosa al catrame. Rafano, radici bruciacchiate, torba di mare che arde nel camino. Ci sono suggestioni vegetali che persistono, e che vanno dalle pigne in un falò a note più curiose (ci sembra di sentire il finocchio). Però non dimentichiamo il centro della questione, cioè un bel malto sapido e avvolgente, con una punta di cera. Questa è la parte più impressionante. F: lungo, un puntino alcolico, salamoia di cetrioli, cenere e zenzero. Islay mule? Con acqua stupisce meno.
Piace e ci vivremmo. Questi blended malt continuano a stupire, in effetti sono prodotti costruiti benissimo. Qui nella fattispecie si nota un bel lavoro di cesello per inserire nel quadro pennellate da stili distillatori diversi. L’alcol continua a pizzicare per un po’ a fine dram, gli togliamo un punticino per questo errorino: 86/100.

Old Rhosdhu 29 yo (1990/2020, East Village Whisky Company, 48.9%)
Old Rhosdhu è uno dei tanti nomi dei distillati prodotti da Loch Lomond, che a sua volta ha imbottigliato usando questo marchio in etichetta fino al Duemila. Il refill american oak hogshead per il mercato tedesco ha dato 248 bottiglie. C: oro carico. N: pecunia non olet, ma questo whisky sì: puzza. Puzza di ascella e stivale, formaggio pesante e acido butirrico. In poche parole, si apre su note rancide, di muschi e licheni su sassi bagnati. Sottobosco ammuffito. Corrado scolpisce nel marmo una massima: “Più suggestivo che sgradevole”. E noi non possiamo che chinare il capo e cospargerlo di licheni. I parecchi anni in botte hanno fatto evolvere la frutta verso l’ananas maturo, il caco, la macedonia rimasta lì per parecchio tempo. Anche un po’ di bucce di frutta raccolte per il compost. Poi una sensazione curiosa e molto nitida di olio di semi. Con acqua si fa più erbaceo, con fieno e radici varie (scorzonera). Un naso totalmente eccentrico. P: migliora decisamente, spunta un lato minerale che non ricorda proprio la torba, ma ha qualcosa di fuliggine, di metallo sporchino. Molto oleoso, unisce arachidi e frutta tropicale (durian!). L’oleosità si rivela anche nel corpo, masticabile, e in altre suggestioni, di olio essenziale di mandarino e di condensa nella pipa. Noci brasiliane, anche. F: rame, frutta gialla e frutta secca.
Il voto è difficile almeno quanto il whisky, che a dirla tutta è un rompicapo proprio. Il naso è proprio ai limiti dello sgradevole, anche se dopo un inizio choc si sistema. Il palato è più interessante e a suo modo godibile. Anche noi che lo beviamo non siamo totalmente d’accordo, ma alla fine Corrado gioca il fil rouge e dunque 86/100. Premio all’unicità.

Glenlivet 1983 Cellar colletcion (1983/2003, OB, 46%)
French oak finish dalla Cellar collection, la serie “elite” di imbottigliamenti disponibili solo in distilleria. C: rame. N: profondo e fruttatone, grida “papaya!” (oh, in battaglia ogni grido è lecito). Albicocca molto matura, con bordate di noce moscata e macis. C’è anche una dimensione più “trapassata”, di buccia d’arancia un po’ ammuffita. In generale, ha quasi note di ossidazione, di appassimento: Vin santo, frutta sul punto di marcire. Liquoroso e piacevole, qualcosa dell’Armagnac e della torta. Torta al caffè, anche. P: asciutto e vetusto, con il legno in prima fila. Frutta disidratata (ancora albicocca e papaya), bastoncini di liquirizia. Il barile porta anche pepe bianco, spolverato sulla frutta. Che ora è meno polposa: bucce di mela rossa. Un senso nobile di biblioteca e broccati in salotto, old bottle effect. Ancora quel tocco di ossidazione. F: medio corto, cognac, legno, tabacco e tante spezie.
Non capita spesso di bere Glenlivet di vent’anni e non capita spesso di berne di affinati in botti di rovere francese non meglio identificate. Un whisky austero, molto vecchio stile, forse un po’ parruccone ma senza dubbio autorevole. Uno di quei whisky un po’ intimidatori, di quelli che le generazioni più giovani trovavano “da vecchi”. Ebbene sì, siamo vecchi: 87/100.