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Alessandro Palazzi, il re del Martini innamorato dello Scotch

In un angolino quieto di Londra, nel cuore di quel quartiere favoloso tutto gallerie d’arte e raffinate botteghe secolari che è Mayfair, c’è il Dukes Hotel. A metà strada fra la storica sede reale di St. James’s Palace e la fermata della Tube di Green Park, si dà il caso che il Dukes sia il Bengodi del Martini cocktail. Per intenderci, se Shining fosse stato ambientato qui, col cavolo che Jack Nicholson sarebbe impazzito: sarebbe sceso nel bar, avrebbe chiesto un “emergency Martini” e l’ispirazione per il suo romanzo sarebbe arrivata senza asce, tricicli e quelle cose molto pulp. L’uomo che con le sue mani prepara questo nettare cristallino è un italiano. Si chiama Alessandro Palazzi, è originario delle Marche ed è un’istituzione, oltre che un delizioso conversatore e un profondo conoscitore degli spiriti, dei cocktail e dell’arte zen dell’ospitalità. Del suo Martini leggendario ha parlato tanto e ha portato la sua esperienza in giro per il mondo (sarà a Milano al White spirits festival il 22 febbraio per una masterclass: fate carte false e capriole vere pur di esserci). Però della sua grande, vera passione – lo Scotch – parla solo agli amici. O ai curiosi che vanno a trovarlo nel suo magico nido.

Alessandro, tu sei indissolubilmente legato al gin del tuo mitico Martini cocktail. Però non molti sanno che sei un appassionato di whisky. Come nasce questo amore?
“Alla scuola alberghiera di Senigallia, negli anni ’70. Una sera il nostro prof decise di portarci fuori a cena e ordinò un whisky. Glielo versarono in un bicchiere da Bordeaux e la stanza cominciò a riempirsi di un profumo affumicato che non avevo mai sentito…”

Fulminato sulla via della torba?
“Esatto, era Lagavulin. Qualcosa di completamente differente, non vedevo l’ora di assaggiarlo, ma il prof ci vietò di berlo finché non avesse finito di spiegare. Parlava, parlava, parlava… Io a 16 anni ero un ragazzo un po’ vivace, non ce la facevo più a trattenermi dal provare quella meraviglia!”.

Alla fine te lo ha fatto assaggiare?
“Sì, e nei mesi successivi, quando mi capitava di spolverare le bottigliere alla scuola, mi incantavo a guardare le etichette. Non capivo una parola di inglese, ma l’incantesimo è iniziato così”.

Dopo 40 anni a Londra e una vita nel mondo degli spiriti, sei un esperto.
“Noooo, macché esperto, sto ancora imparando, finirò di imparare solo nella bara”.

Torba=Islay. Che è il contrario della metropoli londinese…
“Ci sono stato molte volte, spesso invitato da Diageo. Presentavo i miei twist on classic, ricordo che qualcuno mi ha chiamato l’Anticristo per questo. Al Feis Ile sono sempre andato con entusiasmo. Tanto che mi facevo pagare in whisky”.

Finché un giorno, da Diageo…
“… arriva il più bello dei regali. Ricordo che mi chiamò il dottor Morgan (Nick,  professore di Storia, scrittore e responsabile del settore ricerche Diageo, ndr) e mi annunciò che avrebbe proposto il mio nome come Keeper of the Quaich. Ero commosso”.

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La medaglia di Keeper of the Quaich di Alessandro

E’ il più alto riconoscimento per chi ha lavorato nel mondo del whisky, sarà stata una soddisfazione.
“Enorme, meglio di una vittoria alla lotteria. Significa che i più grandi personaggi del whisky pensavano che nella mia carriera avessi fatto qualcosa di rilevante per la diffusione e la valorizzazione del re dei distillati. Un orgoglio”.

E la cerimonia?
“Al Blair Castle di Blair Atholl. Ero il 38esimo a ricevere l’onorificenza, dovevo dire solo una cosa: I do. Ma continuavo a pensare: e se inciampo sui gradini? E se non mi escono le parole? Uno vicino a me tremava. Così ho iniziato a tremare anche io. Ma alla fine è andata bene. Alla cena siamo pure saliti tutti in piedi sulle sedie a cantare: non capivo una parola…”.

Che rapporto hai con la Scozia?
“In un’altra vita probabilmente ero un Highlander. Adoro Glasgow!”.

Bevitore o collezionista?
“Senza dubbio bevitore. Le bottiglie che ho, le apro. Questa febbre del collezionismo, che fa lievitare i prezzi a dismisura, sta uccidendo il whisky. Si compra per rivendere, col risultato che in giro per il mondo ci sono migliaia di bottiglie false e milioni di bottiglie chiuse a chiave negli armadietti”.

Beh, alcune sono prodotte proprio con questo scopo.
“Certo, ma io mica sono un negoziante! Ti faccio un esempio. Questa è una delle bottiglie della nuova serie Ronnie’s Reserve, che Berry Bros & Rudd ha appena lanciato. Tempo qualche mese avrà raddoppiato il valore, ma io questa la apro e la bevo con i miei amici, perché Ronnie Cox è un amico: BBR ha la sua sede a 50 metri da qui. Quando sono arrivato al Dukes sono andato io a presentarmi e a fare i complimenti. Da lì è nato un rapporto fraterno, una collaborazione che dura anche oggi”.

A proposito di bottiglie aperte. Leggenda vuole che tu regalassi Karuizawa…
“E’ capitato una volta sola. Ero al Bar Show di Tokyo, nel 2012, e come ti dicevo spesso mi facevo pagare in whisky. Mi diedero qualche bottiglia di Karuizawa e le regalai ai miei collaboratori. Diciamo che poi quelle bottiglie hanno acquistato un discreto valore…”.

Il tuo whisky preferito?
“Eh, al cuore, alla torba e a Lagavulin non si comanda! In generale preferisco i single malt di Islay. Se voglio qualcosa di più semplice, allora meglio il gin ghiacciato”.

E nei cocktail, come lo vedi? Tu che hai servito whisky cocktail ovunque, dai ristoranti durante la Burns Night alla Cina, dalla Scozia al Giappone…
“Stanno funzionando bene, li chiedono in tanti. Anche al Dukes, dove trent’anni fa avresti trovato una bottiglia di Black Bowmore, ma meno cocktail a base whisky. So che tutti stanno perdendo la trebisonda per il rye, ma io nel mio Manhattan continuo a preferire il bourbon. Se invece parliamo di Scotch… Beh, l’Old Fashioned con il Caol Ila Distillers edition, e poi un mio pallino…”.

Spara.
“Il Negroni è sempre stato un mio pallino. Solo che ai tempi della scuola era considerato esclusivamente un aperitivo e non te lo servivano proprio dopo cena, come il Manhattan. Non mi è mai andata giù! Così per ripicca ho inventato il Peated Negroni, con whisky di Islay, che si può bere quando ti pare. E’ qualcosa di speciale, proprio come quel Lagavulin che assaggiai a 16 anni”.

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