Restiamo dalle parti di Glenmorangie, dove alti sono i colli di cigno degli alambicchi e talvolta anche i prezzi. A Glenmorangie da parecchio si sta giocando una partita a scacchi fra innovazione e tradizione. Da una parte, la distilleria guidata da Bill Lumsden si è specializzata in affinamenti, lanciando una moda che è poi evoluta nella serie delle limited releases e in quella “A tale of”. Dall’altra, si continua con imbottigliamenti di eccellente maturazione che rappresentano al meglio lo stile della casa. In particolare, la Bond House No.1 Collection è una miniera di chicche. Dal 2016, infatti, sotto questo ombrello vengono rilasciati i cosiddetti Grand Vintage Malts, whisky solenni di 23 anni pensati per il mercato più ricercato. L’anno scorso non ci aveva fatti impazzire il Vintage 1997, speriamo di avere più fortuna con il 1998, che invecchia in botti di sherry e in botti vergini tostate. Ne hanno fatte la bellezza di 10.100 bottiglie e il colore è paglierino carico.

N: si apre con effusioni e dolcezze: pandoro, propoli e caramelle Rossana. Questa morbidezza gentile e fine va a mescolarsi con note di biblioteca, tra carta oleata e libri antichi, ceralacca e lucido per mobili. Una grandissima eleganza, non c’è che dire. Al di sotto, il tropicale che non ti aspetti. O che forse ti aspettavi, ma eri troppo ammaliato dalle prime note. Ananas, melone, durian… dolcezze gialle e dove trovarle. Ma non è tutto, perché sulla frutta aleggia una sfumatura fresca, come di sciroppo all’anice. Legno aromatico a chiudere un naso conturbante.
P: mentre ci si bea per la sontuosa crescita del succo tropicale (sempre con quelle tracce di anice), amaramente la realtà ci presenta il conto, con quella gradazione esile che sempre ci lascia con un senso di atterrimento e depressione. Ad ogni modo, superiamo questo trauma e mettiamo in fila le suggestioni, che partono dal barile, con zenzero, pepe bianco, un filo di bastoncino di liquirizia. Senza dubbio il legno ha lavorato molto bene, e a dire il vero anche in maniera discreta nonostante il rovere vergine. Da segnalare anche l’eccellente evoluzione del malto, rotondo e dolce come piace a noi, tra Orzoro e pandoro, che fa pure rima. Anzi, pandoro tropicale. Qualcosa di caffelatte zuccherato.
F: tostatino e lunghetto, anche piuttosto oleoso. Cocco tostato, cedro e nocciole annegate nel miele. Ottimo.
Rispetto al 1997, che era invecchiato in botti di vino rosso, non c’è paragone. Qui il legno è stato affettuoso e ha cullato il malto di Glenmorangie – che è uno dei migliori di Scozia, ricordiamolo – per 23 anni senza soffocarlo. Quel senso di pasticcino liquido che spesso accompagna i Glenmo vecchi ritorna molto vivido, arricchito dalla tostatura e dalla dimensione tropicale, che come ben sapete voi piccoli e assetati lettori è una delle nostre tante ossessioni. Resta quel pizzico di fastidio per non averlo potuto provare a 46%, ma ormai è una battaglia persa, ci arrendiamo: 89/100. Vi ispira? Accattatevillo.
Sottofondo musicale consigliato: C.S.I. – Forma e sostanza