[Avevamo lasciato un mese e mezzo fa il nostro inviato ai Caraibi, Luca Perego, costretto in quarantena proprio a Saint Barth, poverino; lo ritroviamo oggi, un mese e mezzo dopo, sempre ai Caraibi, sempre costretto a non poter abbandonare le spiagge bianche, le noci di cocco e le fanciulle con chiappe importanti che passeggiano per la strada. Ci spiace per lui, eh, perché qui in Lombardia si sta così bene, adesso…]
Ci siamo raccontati per anni e anni che, in alcuni casi, le misure e la durata non contano davvero. Dalla prima volta che l’abbiamo provata, tendenzialmente al liceo, abbiamo cercato di migliorare il più possibile le nostre esperienze: iniziammo fingendo di essere grandi esperti ma senza capirci realmente molto. Quello che più ci stupiva era il sapore iniziale, non giriamoci intorno: sporco, eccessivamente minerale, a tratti sapido o terroso… Non era facile abituarsi. Fortunatamente crescendo abbiamo provato diverse referenze, se n’è parlato sempre di più, abbiamo iniziato a parlarne di più e anche alcune applicazioni ed alcuni siti ci hanno aiutato ad ampliare i nostri orizzonti, per poter approcciare meglio.
Insomma, l’Agave è un po’ come la fica.

Ho avuto la fortuna di assaggiare Clase Azul Ultra Anejo ad una masterclass privata a cui ci hanno invitato settimane addietro, in una Villa vista oceano (qui le cose ci tengono a farle in modo morigerato e poco appariscente) ed ho provato qualcosa che non provavo veramente da tempo L’agave che usano, grossa circa il 30% più della media, viene lavorata solo ed esclusivamente da una comunità indigena che vive in simbiosi con la realtà dell’azienda e viene lasciata invecchiare molto più di quanto richieda il disciplinare. Le misure e la durata contano ragazzi miei, smettiamola di illuderci, ahimè.
L’evoluzione del distillato (Plata, Reposado, Anejo ed Ultra Anejo) parte sempre dallo stesso prodotto iniziale: ciò che bevi nella Plata è lo stesso che bevi nelle altre etichette, solo che con parecchio invecchiamento in meno.
Clase Azul Ultra Anejo costa una fucilata, è il primo punto da dichiarare, si parla di quasi 3000 euro a bottiglia. E se la domanda è: lì vale? La risposta è: se domani Riley Reid vi chiedesse di portarla a mangiare in un 3* Michelin prima di andare in stanza al Ritz, voi cosa direste? La bottiglia stessa, che necessita di almeno 40gg per essere prodotta, è una preziosa opera d’arte; completamente nera, con tappo in argento, etichetta in oro 24k e disegni fatti a mano con platino liquido (il platino liquido è nero, la bottiglia è nera: se devi andare a pisciare mentre lo disegni sei finito)
Il naso è complesso, come spiegare alla tua ex scopamica che ancora ti manda i nudes che ora sei fidanzato, arriva forte lo sherry ma lasciando poi spazio alla parte scorbutica dell’agave. È un profumo tondo, con della stecca di vaniglia sul finale e forse anche della pesca sciroppata, ti ricorda nonna che fa i dolci nella casa in montagna.
In bocca esplode lo sherry ed il legno, ti riscalda dal primo assaggio, la texture è setosa, ha quasi quel qualcosa di cera dei whisky che restano in bottiglia decine d’anni, nonostante tenga un corpo prepotente ed esplosivo, c’è della mela molto verde sul finale per pulire la bevuta. È un capolavoro. Per semicitare un vecchio verso “Non è la migliore, è il nuovo metro di paragone” dell’eccellenza.
Il finale continui a masticarlo, non se ne va né dalla lingua né dal naso, sfiorisce lentamente come gli anni ’90 nella cultura pop. Stai bevendo lo stop al volo di Roberto Baggio al Brescia, un capolavoro che sia benissimo di essere troppo povero per rigustarlo. Dalla quarantena è tutto, se sentite la Farnesina ditegli che siamo qui.