La fantasia di Ardbeg è talmente fervida che non ci si annoia mai. Si potrà non apprezzarle proprio tutte, ma c’è da dire che le releases si succedono così rapidamente che un appassionato ha sempre qualcosa di nuovo da assaggiare. L’ultimo arrivato si chiama Hypernova ed è semplicemente l’Ardbeg più torbato mai prodotto, a 170 ppm. L’ipernova in astronomia – e abbiamo consultato wikipedia, mica ce lo ricordiamo dal liceo… – è un fenomeno ipotetico di esplosione di una stella. Ipotetico perché di supernova ne sono state osservate, ma di ipernova (con rilascio di energia cento volte superiore) ancora no. In sostanza, è qualcosa di straordinariamente potente che potrebbe accadere, proprio come un Ardbeg torbato come un Octomore. Tra parentesi, già esistono due release dell’Ardbeg Supernova: quella del 2010 e quella del 2015, di cui abbiamo assaggiato la versione Committee.
Lo abbiamo assaggiato durante una gran bella serata, organizzata al Mulligan’s pub da Andrea e Giuseppe del Milano Whisky Festival e da Emanuele Gozzini di LVMH, proprietaria della distilleria. Della serata ci sarà modo di scrivere nei prossimi giorni, perché di roba da noi mai assaggiata ne è stata versata parecchia. Però avevamo fretta di recensire questo whisky a suo modo storico, quindi dai dai dai. Si tratta di un NAS, invecchiato in barili ex bourbon. Il colore è vino bianco chiaro.

N: immediatamente giovane e nervoso, ma non privo di carattere e “cazzimma”, direbbero a Islay, pardon a Napoli. La prima sensazione è una certa marcata sporcizia, che ricorda il formaggio erborinato (Stilton) e ancor di più il mezcal. C’è anche una potente parte vegetale, di erbe fermentate, bucce di mela e compost, ovviamente affumicato. Ruta, non Maria Teresa ma la pianta con cui si aromatizza la grappa. Molto stravagante, quasi medicinale à la Laphroaig, col tempo si impone un senso di burro, non proprio fresco. Qualcuno dice che va dall’incenso all’ascella pezzata fino alla camera d’aria di gomma della bicicletta. Vaniglia e zucchero a velo qui e là. Sì, ma…. e la torba??? C’è, ovviamente. Ma è sorprendentemente discreta, in seconda fila, come talvolta ci è capitato di riscontrare anche in alcuni Octomore, mostruosi solo come numero di ppm e poi abbordabili all’olfatto.

P: burro, zucchero, succo di limone e cenere. Rami verdi bruciati, anche. Il corpo c’è, l’impatto della torbatura (o meglio, della combustione) qui è molto più potente, ma l’effetto si ha sul lungo, nel senso che è soprattutto nel secondo palato che le braci coprono la bocca con uno strato di fuliggine e piccantezza. Che però non è mai sgradevole, mai ineluttabile. La dolcezza è abbastanza basica (orzata carbonizzata, zucchero) ma gradevole. Un piccolo senso di nocciola verde acerba, allappante, si fa percepire. Anice, caramello salato bruciato e un retrogusto di pepe bianco.

F: la dolcezza si asciuga, tutto diventa più secco e diritto. Peperoncino verde piccante e una cenere spessa. Le labbra rimangono unte e salate.

Premessa: questo whisky lo abbiamo bevuto a fine serata, dopo due 19 anni, un 25 anni e un single cask a grado pieno in sherry. Non proprio la posizione migliore per giudicarlo. Allora con immenso senso di responsabilità ce lo siamo portato a casa e lo abbiamo “ascoltato” con più attenzione, senza immediati paragoni. Abbiamo fatto bene, perché così ci è piaciuto molto di più. Certo, è giovane. Certo, è un esperimento “facile”, la torba pesante paga sempre. Ma è fatto bene, ha struttura nonostante la gioventù, ha una gradazione perfetta, è piacevole, la torba è intensa e persistente ma mai sguaiata e straziante. Ha un suo equilibrio e una sua decente complessità. Insomma, ce ne freghiamo del prezzo (questo sì un pochino sguaiato) e lo premiamo: 87/100.

Sottofondo musicale consigliato: Rob Zombie – Superbeast